La centralità dell’intestino

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La centralità dell’intestino

Secondo la scrittrice e medico tedesco Giulia Enders, autrice del fortunato bestseller “L’intestino felice”, l’intestino è

l'organo meno conosciuto del corpo

Il meno conosciuto, ma uno dei più grandi aggiungiamo noi! Per visualizzarlo, immaginiamolo come un tubo lungo circa 8 metri, che si estende dal piloro (l’ultimo tratto dello stomaco) sino all’orifizio anale, per un totale di circa 300 m(più di un campo da tennis). Ma come fa il nostro addome a contenere un organo così grande? Il trucco risiede nelle pliche: la mucosa intestinale si ripiega su se stessa per minimizzare gli spazi, un vero e proprio capolavoro di ingegneria.

L’intestino si suddivide in due macro-parti: l’intestino tenue (lungo circa 6 metri con diametro variabile) e l’intestino crasso (di quasi 2 metri). A sua volta, l’intestino tenue si divide in duodeno (parte fissa), digiuno e ileo (parti mobili), mentre il crasso è formato da intestino cieco con relativa appendice, colon, sigma e retto.

Ma come funziona l'intestino?

La sua funzione primaria è quella di assimilare i principi nutritivi dei cibi provenienti dallo stomaco e di convogliarli nel sangue in modo che possano alimentare le cellule degli organi e dei tessuti dell’organismo.

Per potenziare l’assorbimento, si ricopre di villi e microvilli (micro perché appena visibili a occhio nudo). Per ogni centimetro quadrato di parete intestinale si contano 1000 villi e più di 1 miliardo e mezzo di microvilli.

Il ruolo immunitario dell’intestino

L'intestino fa parte dell'apparato digerente, ma non serve solo a digerire, infatti costituisce una parte importante del sistema immunitario. Per molte ragioni. Perché il microbiota (la flora batterica residente) adeso alle sue pareti protegge dalle aggressioni batteriche; perché le cellule intestinali fungono da barriera protettiva nei confronti di sostanze dannose e perché presenta cellule immunitarie specializzate, in grado di produrre anticorpi.

Se la continuità ed impermeabilità selettiva della mucosa che lo riveste viene meno, dall’intestino possono facilmente penetrare nell’organismo sostanze o microrganismi che, non adeguatamente riconosciuti dalle nostre difese, si distribuiranno nei vari tessuti producendo disturbi anche di seria entità.

Ne consegue che l’intestino sano costituisce un filtro molto efficiente, in grado di selezionare ciò che è meglio per la salute dell’intero corpo umano e che il mantenimento di un buon regime alimentare, dell’integrità della sua mucosa e dell’equilibrio della sua microflora batterica sono un’ottima garanzia di benessere. 

Ma perché il microbiota è un alleato dell’intestino?

Oggi sappiamo che lo sviluppo della microflora intestinale (microbiota) dipende dal numero e tipo di microrganismi con cui l’individuo entra in contatto nelle prime fasi di crescita e dal patrimonio genetico dell’individuo stesso. Ogni persona ha un microbiota unico. Inoltre, lo stato del microbiota è in grado di condizionare, sia in meglio sia in peggio, la salute non solo dell’apparato gastrointestinale, ma dell’intero organismo.

Un microbiota sano, infatti, interagisce con la barriera intestinale in modo intelligente e aiuta a mantenerla correttamente in funzione. Alcuni suoi batteri, come i lattobacilli e i bifidobatteri, producono una sostanza chiamata butirrato, derivata dalla fermentazione dei carboidrati, che tra l’altro “sbarra il passo” ai batteri pericolosi e favorisce la peristalsi (movimento fisiologico di progressione del contenuto).

Un microbiota sano compete con i batteri patogeni e ne impedisce l’insediamento, fungendo perciò da “antibiotico fisiologico” messo in campo dall’organismo stesso. Con una differenza fondamentale rispetto ai farmaci: il sistema immunitario gastrointestinale identifica ed elimina soltanto i microrganismi patogeni e le tossine lesive, senza distruggere i batteri benefici abitualmente residenti.

L’enorme popolazione batterica della microflora intestinale (composta da quasi cento miliardi di cellule, pari a oltre un chilo di peso) svolge numerose e fondamentali funzioni per il nostro organismo. Per esempio, contribuisce in modo determinante alla digestione degli alimenti, che non saremmo in grado di assimilare. Produce vitamine (acido folico ed altre del gruppo B per esempio) e mantiene attivo il sistema immunitario e ci protegge da svariate patologie. Al contrario, un’alterata composizione del microbiota - la cosiddetta disbiosi - oltre a favorire nei casi più gravi l’insorgenza di patologie, è spesso associata a disturbi ricorrenti di lieve o moderata entità, come infiammazione della mucosa, coliti episodiche, diarree ricorrenti, stipsiflatulenza, difficoltà digestive e disturbi uro-ginecologici.

Tra le patologie più diffuse e invalidanti dell’intestino, la sindrome dell’intestino irritabile (IBS, Irritable Bowel Syndrome) è una delle più note e colpisce 1 italiano su 10, il 10-20% della popolazione mondiale. In Italia, stando ai dati  annunciati in occasione dell’incontro “Nuove prospettive per migliorare la gestione clinica del paziente con IBS”, durante il Congresso Internazionale IBS Days di Bologna1, questo disturbo riguarda circa l’11-12% delle persone, in particolare le donne (in rapporto di 3 a 1 rispetto agli uomini) e con un tasso più alto di prevalenza tra i 20 e i 50 anni.

Questo disturbo è caratterizzato da gonfiore o dolore addominale associati all'alterazione della funzione intestinale che provoca diarrea, stitichezza o una fastidiosa alternanza delle due condizioni. Tra le cause della sindrome dell’intestino irritabile lo stress gioca un ruolo importante, ma non è l’unico fattore scatenante. Un ruolo strategico lo gioca il microbiota intestinale: i miliardi di batteri che popolano il nostro intestino quando si alterano per infezioni, uso di antibiotici, antimicotici, ormoni o di una dieta sbagliata, producono gas, gonfiore e disturbi delle funzioni intestinali.

A proposito di dieta, quali sono i cibi che infiammano l’intestino? Da qualche anno si sente parlare di Fodmap (sigla - che riassume i vocaboli inglesi; fermentabili, oligosaccaridi, disaccaridi, monosaccaridi e polioli), zuccheri che accentuano i sintomi della sindrome del colon irritabile e che si trovano in derivati del grano, latte, alcuni frutti e molte verdure. Sarebbero proprio queste piccole molecole a esacerbare i sintomi della sindrome del colon irritabile, caratterizzata dalla presenza del dolore addominale e da una variazione nella frequenza delle emissioni di feci. La conferma è arrivata da uno studio australiano pubblicato su Gastroenterology:1 al termine di un’osservazione dei comportamenti a tavola durata tre settimane, si è visto come chi consumasse pochi Fodmap a tavola, rilevasse sintomi del disturbo decisamente attenuati.

In conclusione, come aiutare l’intestino a stare bene? Come sempre prestare attenzione alla propria alimentazione e adottare uno stile di vita sano è alla base di tutto. Per quanto riguarda l’alimentazione, in particolare, miglioramenti vengono notati riducendo o eliminando il consumo di caffeina e teina, alcol, bevande gassate, lattosio, mangiando lentamente e più che possibile ad orari fissi. Bisognerebbe bere molta acqua (i medici consigliano 30 ml per ogni chilogrammo di peso corporeo al giorno allo scopo di ottimizzare l’idratazione), limitare l’uso delle fibre, consumando per questo non più di 3 porzioni di frutta al giorno, meglio se lontano dai pasti o almeno mezz’ora prima di essi. Quando il sintomo più invalidante è il dolore, può essere utile ridurre il consumo di cavoli, cipolle, broccoli, spinaci, prugne, mele, ciliegie, banane, latte, panna, gelati, cibi molto grassi, fritti.

Ma sempre, prima di modificare anche solo la dieta, è bene rivolgersi al medico così che si possa instaurare un corretto rapporto di fiducia e avere i suggerimenti più appropriati sulla propria situazione specifica. Queste indicazioni valgono a maggior ragione nell'alimentazione dei bambini. In base alla loro età si aggiungono altre particolari regole da non trascurare.

 

 

 

https://ibsdays2018.it/Download/EasyCms/IBS-AbstractBook_28620.pdf

https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/24076059

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