Teatro alla Scala – Il benessere in scena
Teatro alla Scala – Il benessere in scena
Ci prendiamo cura dell’arte, perché anche l’arte cura.
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GUNA E IL TEATRO ALLA SCALA: ANCHE L’ARTE CURA. L’uso dell’arte come “terapia” ha radici piuttosto antiche: i Greci attribuivano una funzione catartica al teatro, come la capacità di liberare le emozioni represse, anche se è solo a cavallo tra il XIX e il XX secolo – ne scrissero tra gli altri sia Sigmund Freud (1856-1939) che Carl Jung (1875-1961) – che vennero mossi i primi passi verso l’arte-terapia, così come viene modernamente intesa. Ma non è solo la “pratica” dell’arte a migliorare la qualità della vita, bensì anche la sua fruizione: le più recenti ricerche scientifiche dimostrano infatti che essa riduce significativamente il nostro stato di stress, incidendo quindi positivamente sulla nostra salute. I più recenti, autorevoli, fondati e interessanti studi scientifici sugli effetti fisiologici generati dalla fruizione delle performance artistiche – che si tratti di danza, musica o pittura – confermano che essi inducono stati d’animo che favoriscono un approccio sereno e sicuro alle sfide di ogni giorno, aiutano a combattere la depressione, normalizzando il battito cardiaco, la pressione e i livelli di cortisolo e stimolano anche la produzione di “ormoni del benessere”; queste importanti ricerche stanno anche aprendo la strada a nuovi paradigmi in medicina rigenerativa e di precisione.
Guna, da oltre 3 decenni leader italiano nel settore delle terapie naturali d’avanguardia, ha promosso con il Teatro alla Scala di Milano l’ambizioso progetto “Benessere in scena”, del quale trovate approfondimenti in quest’area web con documenti, video, interviste e foto, che illustrano i contenuti dei talk di approfondimento alla Scala con gli specialisti coinvolti, durante i quali è stata sensibilizzata la cittadinanza sull’importanza dell’arte per il mantenimento dell’equilibrio psicofisico. Guardiamo il mondo attraverso il prisma dell’arte, perché ammirare bellezza, modifica il nostro modo di vedere e vivere il mondo. Attraverso questo progetto Guna si prende cura dell’arte: perché anche l’arte cura.opuscolo gratuito)
Scopri come l’arte influenza il nostro organismo
Contributi
Clicca su uno dei nomi nel menu qui a fianco (Dott. Marco Del Prete, Francesca Pedroni, Alessandro Perra) per conoscere il loro contributo al progetto Guna e il Teatro alla Scala: anche l’arte cura.
DOTT. MARCO DEL PRETE
Musica, musica!
La Musica fa bene, e questo è risaputo: è in grado – ad esempio – di modulare la percezione del dolore, ridurre gli stati di ansia, ridurre lo stress pre e post operatorio, e in tal senso ha un ampio utilizzo; inoltre, favorisce l’attenzione e la memorizzazione, la comunicazione e la verbalizzazione; trova applicazioni terapeutiche nei bimbi con spettro autistico o nelle malattie neuro-degenerative; può influenzare l’elasticità e la plasticità della nostra risposta immunitaria; sono infine stati documentati effetti interessanti sull’organismo, come una migliore capacità di difesa contro gli agenti patogeni ed una modulazione dei fenomeni infiammatori.
Le moderne tecniche di neuro-imaging hanno permesso di definire con una certa esattezza i circuiti coinvolti e i relativi neuromediatori e neuro-peptidi attraverso cui la musica può – mai parola fu più centrata – “orchestrare” le nostre emozioni e i nostri ricordi. Vengono coinvolti i meccanismi di ricompensa, soddisfazione, modulazione delle reazioni adattive e dell’attenzione; in particolare, sono coinvolte numerose aree associative in cui stimoli acustici, viscerali e riflessi nervosi convergono rafforzandosi vicendevolmente.
Tali fenomeni determinano reazioni peculiari, come lo stimolo a unirsi o riunirsi tipico – ad esempio – della danza. Curiosamente, quasi come premessa a questa tendenza aggregativa, la musica favorisce anche la sincronizzazione nell’attività neuronale, con modalità diametralmente opposta a ciò che determina il rumore; in altre parole il sodalizio tra la musica e la danza si definisce già nella sincronia delle risposte cerebrali. Certo è difficile codificare un uso “terapeutico” deIla musica, ed una delle difficoltà maggiori è proprio come strutturare gli studi scientifici.
Tuttavia appare paradossale il tentativo di ridurre la musica in rigidi schemi posologici quasi fosse una terapia in pillole. Senza negare l’importanza degli aspetti sino a qui studiati e menzionati, possiamo forse cambiare l’ottica di osservazione.
Se applicassimo all’analisi della musica dei criteri speleologici, potremmo scendere da quella che è lo splendore manifesto della superficie, ad aspetti più profondi. La musica è dentro di noi, e in un certo senso ci precede. I recettori, ossia le antenne, le “orecchie” recettive della cellula, sono sensibili a sostanze anche in dosi estremamente diluite, ma anche a specifici codici frequenziali. Le nostre cellule sono in grado di comunicare attraverso l’emissione di luce nel vicino infrarosso, e sono in grado di generare segnali elettromagnetici e vibrazioni meccaniche la cui frequenza può cadere in un range acustico. Se analizziamo il mondo microscopico troviamo una innata predisposizione musicale nelle architetture stesse che definiscono la cellula. Il DNA, che pare un arcaico strumento musicale, presenta capacità nano-meccaniche oscillatorie necessarie per l’archiviazione ed elaborazione di informazioni geniche.
I microtubuli sono strutture dello scheletro cellulare, ed è possibile convogliare verso di loro frequenze elettromagnetiche che entrano in risonanza con la tubulina, una delle principali proteine costitutive del microtubulo. Molte proteine del corpo presentano strutture assimilabili a molle oscillanti. Esse stesse recepiscono ed emettono vibrazioni, i microscopici movimenti necessari per la vita. Attraverso sofisticate tecniche di indagine in laboratorio, si è potuto analizzare in vivo lo spettro elettromagnetico emesso da cellule staminali in risposta a specifici pattern sonori musicali, presagendo un possibile futuro nel quale sarà forse possibile riprogrammare frequenzialmente cellule staminali ove si trovano, senza necessità di trapianti. È la natura archetipale della musica, che le permette, con le sue peculiarità, di proiettarci fuori dallo spazio e dal tempo dove abitano le radici stesse della nostra esistenza.
FRANCESCA PEDRONI
Dalla scena alla platea l’arte rende vivi?
Una parte del nostro piacere di spettatori sta proprio nel sentirci conquistati dai ritmi e nel sentirci anche noi virtualmente danzanti. Paul Valéry (da “Filosofia della danza”)1
Le ricerche più attuali sui processi mentali e fisici coinvolti nella creazione del movimento e nell’esperienza della performance dal vivo illuminano la figura del danzatore e del coreografo di una luce speciale.
Autori tra i maggiori del nostro tempo come l’americano William Forsythe o l’inglese Wayne McGregor, ospite proprio in questa stagione del Teatro alla Scala con Woolf Works, parlano da anni di un fattore chiave nella creazione e nella danza dal vivo: il physical thinking, un’intelligenza fisica che appartiene al corpo/mente e il cui sviluppo ha un ruolo portante nel movimento di danza e nella creazione coreografica. Corpi pensanti e consapevoli, oggetto di brillanti studi tra danza e neuroscienza. Un campo entusiasmante.
Il progetto su Arte e Benessere messo a punto nelle due ultime stagioni con il Teatro alla Scala da Guna, azienda farmaceutica leader in Italia che dedica dal 1983 la propria ricerca alla farmacologia dei “bassi dosaggi”, ha puntato sulla danza e sul suo profondo legame con la musica per condividere con il pubblico ricerche e studi in atto sugli effetti salutari che la fruizione dell’arte ha sull’uomo. Riflessione che è stata oggetto di sei incontri a tema, aperti a gruppi di spettatori selezionati per fasce d’età, in coincidenza con la messa in scena di alcuni dei titoli più emozionanti delle stagioni di balletto del Teatro: La Dame aux camélias di John Neumeier, capolavoro di dance-drama su musica di Fryderyk Chopin, Goldberg Variationen di Heinz Spoerli sulle omonime variazioni culto di Bach, Schiaccianoci nella incantevole versione di George Balanchine su musica di Čaikovskij, la creazione mondiale Winterreise del coreografo franco-albanese Angelin Preljocaj sui Lieder di Schubert, il già citato Woolf Works, spettacolo esemplare rispetto al linguaggio del balletto oggi su partitura originale di Max Richter, protagonista una étoile internazionale di raro spessore drammatico quale è Alessandra Ferri, scelta da McGregor per restituire in scena l’anima di Virginia Woolf.
I sei incontri sono stati un viaggio di scoperta dei nessi a volte sorprendenti tra esperienze artistiche e competenze medico-scientifiche. Ospite per ogni conversazione un primo ballerino della Scala a confronto con un professionista della salute individuato da Guna. Tanti e affascinanti i temi. Un balletto pieno di commozione quale è La Dame aux camélias si è legato a un argomento caro a Guna quanto a chi ha fatto della danza la sua scelta di vita: la capacità che ha la musica di enfatizzare l’esperienza emozionale.
Ne ha parlato il Dr. Marco Del Prete, Presidente dell’Associazione Medicina Italiana di Omotossicologia, che ha evidenziato quanto le ricerche mediche abbiamo compreso come la musica sia in grado di modulare la percezione del dolore e di diminuire gli stati d’ansia; un’arte che ha qualità sue proprie di induzione al movimento, che soddisfa nel cervello le cosiddette aree della ricompensa, ricche di recettori. Una sensazione di piacere, testimoniata dall’esperienza della prima ballerina Marta Romagna: «la musica ti porta dentro i ruoli, la danza ti dà una consapevolezza del corpo regalandoti, di personaggio in personaggio, emozioni che non ti abbandonano per giorni. Anche in ruoli tragici come Giulietta o Marguerite in La Dame aux camélias, la danza e la musica ti fanno stare bene».
L’armonia del movimento che appartiene alla natura è da riscoprire all’interno del corpo, microcosmo che dovrebbe rispettare le stesse regole del macrocosmo, immagine suscitata dalla conversazione tra il Dr. Alberto Fiorito, medico esperto in nutrizione biologica e medicina psicosomatica, e il primo ballerino Claudio Coviello nel secondo incontro dedicato a La Dame aux camélias. L’arte come aiuto, come sistema di recupero per mantenere vivo nel corpo il flusso armonico. Il balletto, che nel rapporto con la musica diventa un modo naturale di espressione, come testimonia Coviello. Ma anche l’arte valutata come mezzo per aumentare il benessere psicofisico legato alle varie stagioni della vita di una donna, tema affrontato quest’anno in occasione di Schiaccianoci dal Dr. Franco Vicariotto, medico chirurgo, specialista in ostetricia e ginecologia, in conversazione con Marta Romagna.
Il ciclo di balletti su musica da camera ha ispirato altre voci di approfondimento: in concomitanza con Winterreise, creazione per 12 ballerini a confronto con l’esecuzione pianistica e i Lieder di Schubert, il Dr. Leonello Milani, medico specializzato in neurologia, di lunga esperienza, ha messo in luce il valore dell’ascolto e di un approccio proattivo e misurato nel rapporto medico/paziente, temi, l’ascolto e la misura, pregnanti, ha spiegato il primo ballerino Antonino Sutera, anche nella relazione di un danzatore con il proprio corpo e con un’esecuzione musicale intima quale è quella da camera.
Capacità di ascolto che innesca piacere anche nel pubblico dello spettacolo dal vivo. Coinvolto emozionalmente in un’arte fatta di movimenti e musica, lo spettatore percepisce dalla platea le vibrazioni della scena nel proprio corpo, condividendo con gli artisti un tempo extra-quotidiano benefico. Non sono parole naif.
Le conversazioni Guna/Scala sono andate sempre più in affondo rispetto alla comunicazione al pubblico di dati scientifici che provano la fondatezza del motto chiave dell’iniziativa: «Ci prendiamo cura dell’arte, perché anche l’arte cura». Alessandro Perra, direttore scientifico di Guna, impegnato da oltre 25 anni nella divulgazione della farmacologia dei bassi dosaggi, ha introdotto l’anno scorso in occasione di Goldberg Variationen una questione centrale nella ricerca scientifica di Guna sul rapporto tra arte e benessere: «La musica e il suono possono parlare alla biologia delle nostre cellule?» A partire dall’esperimento Cell Melodies, condotto a Bologna presso la sede del CNR nel 2016 dal cardiologo, biologo molecolare e esperto di evoluzione cellulare Prof. Carlo Ventura sulla possibilità che le cellule staminali umane rispondano alla vibrazione sonora musicale o vocale, abbiamo scoperto con Perra uno scenario quasi teatrale, di cellule che comunicano tra loro, che sussurrano, che si parlano con dolcezza; parole affidate a molecole messaggere di emozioni definite «molecole sine materia». E quale arte, se non la danza, sfuggente ed effimera per costituzione, potrebbe essere raccontata come un viaggio “sine materia”?
Ma andiamo oltre. Quest’anno, ed ecco il nesso con gli esperimenti scientifici citati all’inizio di questo scritto, la collaborazione tra Guna e il Teatro alla Scala ha fatto un ulteriore passo avanti: le dinamiche vibrazionali del cuore del primo ballerino Mick Zeni sono state registrate in un momento di danza, e poi inviate – come vibrazioni meccaniche – a cellule staminali adulte coltivate nel laboratorio Guna A.T.T.RE. di Bologna. L’esperimento e i risultati sono stati oggetto dell’ultima conversazione di quest’anno, in occasione di Woolf Works di Wayne McGregor, coreografo che da anni collabora con neuroscienziati, antropologi e genetisti. Una perfetta coincidenza. Dello studio di Guna ha parlato alla Scala Marco Tausel, ingegnere elettronico, ricercatore e collaboratore del Prof. Ventura: ha mostrato grafici, immagini delle cellule staminali in coltura che si trasformano, sottoposte alle vibrazioni cardiache di Zeni. «Partecipare a uno studio che dimostra scientificamente cosa succede nel corpo di un danzatore è stato significativo – commenta Zeni. Quando si danza scatta un aumento di lucidità, ci si sente più presenti, più vivi, in scena il battito cardiaco aumenta, le emozioni si amplificano. Ed è qualcosa che continua a spettacolo finito, una sensazione che ti fa stare bene, che non vorresti mai smettere di provare. Uno stato di benessere al quale partecipo, e che riconosco nel corpo anche quando assisto a un balletto dalla platea».
I risultati dell’esperimento sono attualmente in corso di studio, ma certamente hanno lasciato in noi come nel pubblico la sensazione tangibile di possibili ulteriori sviluppi nella ricerca sul rapporto tra arte, benessere e cura, non solo per chi vive il momento artistico sul palcoscenico, come il ballerino, ma anche per chi lo vive dalla platea.
Come diceva Valéry intanto continuiamo a sperimentare la trasformazione di noi spettatori in uomini e donne “virtualmente danzanti”, andando a teatro, confortati non solo dal piacere in sé che lo spettacolo dal vivo ci procura, ma da una visione sempre più salutare dell’arte, provata oggi anche dalla scienza.
1 Paul Valéry, Filosofia della danza, in Barbara Elia (a cura di), Filosofia della danza, Il Melangolo, Torino, 1992, p- 86.
ALESSANDRO PERRA
SPEECH AL TEATRO ALLA SCALA Milano 9 Febbraio 2018
Arte, benessere e scienza: esiste un nesso?
L’arte è “bellezza” ed è una sublime forma di comunicazione. Tenete a mente questa parola perché sarà il file rouge di questa chiacchierata. E non a caso. Il balletto che vedremo tra poco, la musica che ascolteremo, saranno capaci di comunicare con i nostri sensi, e con le nostre cellule (per esempio, ci faranno produrre endorfine, che ci daranno un senso di benessere, e dopamina – un neurotrasmettitore fantastico – che ci darà piacere, senso di soddisfazione e ricompensa. Tra poco, la bellezza del balletto a cui assisteremo – soprattutto in quelli di voi che amano il balletto – farà scatenare una tempesta di dopamina e questa stimolerà alcune cellule del cervello (si chiamano neuroni mesencefalici) coinvolte nei circuiti del piacere. Pensate che sono le stesse cellule su cui agiscono alcune sostanze stupefacenti e questo potrebbe farci capire perché abbiamo una sorta di “dipendenza” da ciò che amiamo […]. Ma il balletto e la musica non comunicheranno solo con i nostri sensi (vista ed udito). Le frequenze luminose del bello che vedremo, le frequenze sonore del bello che ascolteremo comunicheranno alle nostre cellule un senso di benessere, provocando delle modificazioni nel nostro organismo, nella nostra fisiologia, addirittura nel nostro aspetto fisico. Si dice che il bello apra i cuori; ecco, è molto interessante questa capacità che ha il bello di “espandere”, di “aprire”, tanto quanto il brutto tende a far implodere, a “chiudere” (i cuori). Ma non è solo una questione di modi di dire. Per esempio, tra poco, la sensazione di benessere che deriverà dalla bellezza del balletto vi farà dilatare le pupille […], vi farà respirare più lentamente e più profondamente, i vostri capillari superficiali si apriranno e più sangue affluirà alla vostra pelle donandole un colorito più luminoso. […]. Insomma, sarete più belli.
Tutto questo avviene anche alle cellule
…una curiosità, prima di parlare dell’intrinseca bellezza nelle cellule: sapete da quante cellule è formato il vostro corpo? 37.200 miliardi […] e la cosa incredibile è che tutte sono in comunicazione tra di loro, chiacchierano fa di loro (il nostro corpo è il più grande social network esistente […]). Eppure, pensate, ragionare solo in termini di cellule dell’organismo è considerato riduzionistico dalla Scienza moderna. Oggi si parla di Superorganismo; sì perché per ogni cellula avete 2,7 batteri […] e questi batteri che prima abbiamo pensato solo di ospitare in realtà guidano la nostra fisiologia, controllano le nostre emozioni, ci fanno stare bene (se sono presenti in maniera armonica, bilanciata, “bella”, “artistica”) oppure possono essere causa di malattia se perdono la loro armonia. Questa è una branca molto moderna della Medicina e si chiama Nutraceutica Fisiologica. Ad ogni modo, non è di questo che voglio parlarvi ma ricordate che se anche qualche volta vi sentite soli, beh soli non lo siete mai: avete sempre 2,5 kg di batteri che vi tengono compagnia.
Dicevo che anche le cellule si comportano un po’ come noi…
Torniamo alla bellezza delle cellule. Il modo più semplice per capire come funzioni una cellula è quello di antropomorfizzarla: in fin dei conti esse riproducono nel loro ultra-piccolo (microcosmo) la grandezza dell’intero organismo (macrocosmo). Le cellule parlano e le cellule sentono; ovviamente non utilizzano un vero linguaggio verbale, hanno un loro proprio linguaggio, usano un preciso dizionario fatto di “parole” che si chiamano neuro-peptidi, citochine, ormoni […], e attraverso esse comunicano con le altre cellule; hanno delle “orecchie” (si chiamano recettori di membrana) e, tanto quanto le nostre orecchie, anche i recettori vengono eccitati da frequenze. La moderna Biologia Molecolare ha scoperto e ci ha fatto conoscere il significato delle parole usate dalle cellule per comunicare (neuro-peptidi, citochine, ormoni) e ci ha fatto comprendere come le malattie siano l’espressione di un difetto (finanche l’interruzione) di comunicazione tra le cellule; ma non ci aveva ancora spiegato quale fosse il “volume” usato dalle cellule per comunicare, “chiacchierare” tra di loro e – accidenti! – quanto è importante il volume. Ed è proprio qui si inserisce la ricerca di Guna. Perché tra poco godremo della musica che accompagnerà il balletto? Perché non solo sarà una bella melodia, cioè una combinazione armonica e perfetta di note (le “parole” della musica) ma anche perché raggiungerà le nostre orecchie con il giusto volume (né troppo basso né troppo alto). Anche la musica più bella se diffusa a volume troppo alto, o l’immagine più bella se illuminata in eccesso “offenderebbero” i nostri sensi. Lo stesso avviene alle cellule: se i messaggi (i segnali, cioè le molecole di cui abbiamo detto prima) che portano le istruzioni per il funzionamento cellulare fisiologico, seppur corretti, sono in eccesso (troppo “rumorosi”, troppo “luminosi”) offenderebbero i loro sensi, cioè i loro recettori. E quando una cellula si offende, chiude i propri recettori, e se chiude i propri recettori non riceve più le istruzioni per funzionare, e non le resta che invecchiare e poi morire. Questo meccanismo, la Biologia Molecolare, con un termine un po’ difficile, lo chiama down-regulation dei recettori di membrana. Ve lo spiego in maniera semplice. [Esempio “ti amo”; una voce profonda e a basso volume, sexy come lo sono i farmaci low dose…]. Le cellule sono come le donne: sono fortissime e straordinariamente resilienti, hanno un’incredibile capacità di adattamento e sopravvivenza ma sono anche molto delicate, le devi profondamente rispettare ed amare, non devi urlare loro:“ti amo” lo devi bisbigliare con una voce profonda e sexy.
Quindi esiste un volume di comunicazione tra le cellule…
Nei nostro stabilimento abbiamo scoperto quale sia il volume utilizzato dalle cellule per chiacchierare tra di loro attraverso il loro linguaggio delle molecole segnale. È un volume molto preciso, cioè una concentrazione molto precisa: è un volume molto molto basso, una concentrazione molto bassa. I farmaci che studiamo e produciamo nel nostro Stabilimento si basano proprio su questo meccanismo: sono naturali perché a base di molecole biologiche (le parole delle cellule), e li produciamo al giusto ed unico volume comprensibile da parte delle cellule. Per questo chiamiamo questo nuovo paradigma della Medicina “Low Dose Medicine”. E’ una medicina che sussurra alle cellule; è una farmacologia molto …sexy. Vedete, io, ho dedicato la mia vita a questa farmacologia, e credo che ci sia del bello in questi meccanismi, ci sia qualcosa di “artistico”, e che essi siano l’espressione di una perfetta armonia capace di “parlare” alle cellule tanto quanto l’arte è capace di parlare a noi ed ai nostri cuori. Certe volte, quando una molecola si avvicina al proprio recettore sulla cellula bersaglio sembra di assistere ad una danza di seduzione tra due ballerini che si legano in un abbraccio. Addirittura le emozioni funzionano così sulle cellule. In fin dei conti, le emozioni sono molecole “sine materia”, e come tali si comportano. La bellezza e le sue “frequenze armoniche” non solo dona benessere ma mantiene anche giovani (PsycoNeuroEndocrinology 2006 su NGF e amore romantico). Le emozioni negative e le loro “frequenze disarmoniche” infiammano e quindi fanno invecchiare (Brain Behaviour and Immunity 2013). Quanto vi sto raccontando può sembrare “romantico”; forse lo è, ma per certo posso dirvi che è molto scientifico. Lo dimostrano i numerosi studi che Guna ha pubblicato su Riviste internazionali proprio su questi meccanismi molecolari, e su malattie gravi e complesse (espressione di disarmonia fra le cellule, della capacità oramai persa di comunicare tra di loro) come l’Artrite Reumatoide o la Vitiligine o la Psoriasi. C’è davvero qualcosa di nuovo all’orizzonte e Guna ha tracciato per prima questa nuova strada. L’arte di questa farmacologia forse è un modo per tenere in pace le nostre cellule e chissà… con l’arte, con la bellezza, potremmo – chissà – tenere in pace il mondo. L’ha detto anche Dostoevskij:
La bellezza salverà il mondo.
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Un approfondimento:
Cell Melodies, le cellule ‘vivono’ a suon di musica…
Diversi sono gli studi già realizzati sul tema arte e benessere, alcuni anche recenti. Tra questi ci sono quelli del team di Carlo Ventura, medico cardiologo e dottore di ricerca in biochimica: studi che si sono tradotti in un evento particolare. Si sono studiati gli effetti prodotti, a livello cellulare e molecolare, dal suono generato dalla musica o dalla voce umana. Il fatto che questi suoni permeino il nostro corpo solleva un interrogativo fondamentale: il suono della musica o della voce, generato durante esibizioni artistiche dal vivo, può parlare alla biologia delle cellule?
Questo affascinante quesito ha rappresentato il tema conduttore di ‘Cell Melodies’, un esperimento dal vivo e, al tempo stesso, una prima mondiale, organizzato dal 7 al 9 novembre 2016 a Bologna sotto gli auspici di Vid art|science, un movimento internazionale di artisti e scienziati curato da Arlo Ventura e Julia Von Stietencron. Insieme a Milford Graves, batterista jazz, e Alessandro Bergonzoni, attore di teatro, erano presenti anche delle cellule staminali umane adulte, ottenute da tessuto adiposo, visualizzate attraverso microscopio invertito dotato di un sistema di immagine multispettrale (MSI – Multispectral Imaging).
Il sistema MSI è progettato per elaborare informazioni attraverso lo spettro elettromagnetico (luce) ed è stato utilizzato durante Cell Melodies per rilevare gli spettri di emissione elettromagnetica prodotti dalle cellule staminali in risposta ai pattern sonori generati dagli artisti. L’esperimento Cell Melodies ha fornito per la prima volta la prova che le cellule staminali umane sono in grado di generare differenti modi vibrazionali specifici in risposta a diversi spettri sonori prodotti dal musicista.
Grazie all’utilizzo di MSI si è scoperto che gli spettri di emissione vibrazionale delle cellule staminali differivano molto nel corso del monologo dell’attore, mostrando principalmente un pattern di vibrazione lungo la superficie cellulare in risposta ad un tono stentoreo della voce, concentrandosi invece a livello del nucleo allorché le parole venivano emesse come suoni sussurrati.
Sono in corso ulteriori studi per indagare le possibili implicazioni di queste scoperte per il benessere umano.