Omeopatia
Omeopatia
Il simile cura il simile
L’Omeopatia, termine che deriva dal greco ὅμοιος (simile) e πάθος (malattia) è una scienza medica che ha nel suo significato etimologico l’essenza stessa dei suoi Principi Metodologici: per curare un individuo ammalato si utilizzano delle sostanze trattate omeopaticamente (ossia diluite e dinamizzate) che, se fossero somministrate in dosi ponderali, provocherebbero nel paziente sintomi simili a quelli tipici della malattia che sta vivendo.
Le sostanze utilizzate in Omeopatia vengono diluite e dinamizzate utilizzando i metodi produttivi descritti nella Farmacopea europea, nella sezione dedicata alle preparazioni omeopatiche (Ph. Eur. 1038).
La nascita dell’Omeopatia
Siamo a Lipsia in Germania, una mattina d’inverno del 1789, nello studio medico del Dr. Christian Friedrich Samuel Hahnemann:
…amici miei, potete andarvene da qui, io non so alleviare le vostre sofferenze, non sono capace di guarirvi e non voglio rubare il vostro denaro.
Da questa frase, dal dolore di un uomo impotente di fronte alle sofferenze dei suoi amici, dalla frustrazione di un medico che non riusciva a guarire i propri pazienti, dalla mente geniale di un uomo speciale germoglierà l’Omeopatia. Hahnemann era un medico tedesco dell’Ottocento e giunse a questo nuovo approccio partendo da una profonda crisi professionale causata dalla frequente inefficacia delle terapie praticate ai suoi pazienti. Una crisi che lo stava spingendo ad abbandonare la professione dalla quale non solo Hahnemann uscì continuando ad essere un ottimo medico, ma grazie alla quale scrisse in modo indelebile il suo nome nella Storia della Medicina.
Le radici greche dell’Omeopatia: Ippocrate
Facciamo un passo indietro: siamo su una piccola isola greca, Kos, tra il 450 ed il 400 a.C., Ippocrate, considerato il padre della Medicina, insegna ai suoi discepoli a curare gli ammalati scegliendo tra due strade: la prima consiste nel curare i sintomi con il loro contrario (contraria contraribus curentur), la seconda nel curare i sintomi con il loro simile (similia similibus curentur). Ippocrate infatti, osservando la Natura, aveva notato che molti dei fenomeni (sintomi) della malattia non sono altro che tentativi di guarigione.
Perché non imitarli? Ma il problema è come imitarli.
Esistono delle sostanze che possono imitare una malattia? E se sì, come devono essere utilizzate e in che quantità? Delle due vie ippocratiche verso la guarigione (“contraria contraribus curentur” e “similia similibus curentur“), Hahnemann volle percorrere la più ostica, oscura, difficile, quasi paradossale: “similia similibus curentur“, i simili si curino con i simili. Cominciò così a verificare, nei casi di intossicazione, quali effetti potessero avere le stesse sostanze che li avevano provocati, se somministrate in dosi infinitesimali.
I 3 pilastri dell’Omeopatia
I pilastri su cui si fonda l’Omeopatia sono tre. Scopiamoli uno ad uno in questo viaggio nel tempo:
- La legge delle dosi infinitesimali
- La legge della similitudine
- L’Uomo come globalità di mente, corpo e ambiente
La legge delle dosi infinitesimali
Probabilmente all’inizio i risultati non furono molto positivi; tuttavia Hahnemann, convinto che la strada giusta fosse proprio “similia similibus curentur“, non si fermò, nella certezza che dovesse esserci una differente chiave di lettura del principio di Ippocrate, e arrivò alla soluzione somministrando non più dosi massicce del tossico patogeno ma, al contrario, quantità sempre più piccole fino ad arrivare a dosi minime.
È quella che l’Omeopatia definisce Legge delle dosi infinitesimali. Già Paracelso, a cavallo tra il 1400 e il 1500, aveva intuito qualcosa di simile, al punto che egli arrivò a sentenziare: “sola dosis facit venenum”, è solo la quantità che determina l’effetto tossico o curativo di una sostanza.
Ormesi: la quantità di una sostanza può influenzare il sue effetto
Tutte le sostanze sono tossiche, solo la dose fa la differenza tra un veleno e un medicamento
Paracelso, XVI secolo
Con Hahnemann e con le sue sperimentazioni questo Principio diventa sempre più evidente. Bisognerà aspettare il 1920 quando due ricercatori, Arndt e Schulz, che nulla hanno a che vedere con l’Omeopatia, lavorando sui lieviti osservarono come vari tipi di veleni (iodio, bromo, cloruro di mercurio, acido arsenioso, ecc.) avessero un certo effetto stimolante sul metabolismo se forniti a bassi dosaggi e, al contrario, un effetto inibente se forniti ad alti dosaggi.
Da queste osservazioni nasce il cosiddetto Principio dell’effetto inverso di Arndt-Schulz:
Stimoli di debole intensità accelerano modestamente l’attività vitale, di media intensità la incrementano, di forte intensità la bloccano in parte, di elevatissima intensità la sopprimono completamente
Arndt-Schulz
Un principio della Biologia che può essere applicato anche all’uomo. Ma la sperimentazione scientifica applicata all’Omeopatia negli ultimi ottant’anni ha conseguito ulteriori risultati: nel 1984 il ricercatore francese, Michel Aubin, effettua un esperimento che fra i tanti ci sembra il più bello per confermare definitivamente la veridicità del principio hahnemanniano delle dosi infinitesimali.[1]
Il simile cura il simile
Il principio delle dosi infinitesimali non è ancora Omeopatia; esso spiega come sia possibile curare un’intossicazione, un “avvelenamento”, con la stessa sostanza che l’ha provocato purché domministrata a dosi minime. Ma non tutte le malattie sono assimilabili ad intossicazioni.
Germania, anno 1790. Hahnemann sta traducendo dall’inglese la Materia Medica dello scozzese Cullen.[2] Rimane colpito da alcune osservazioni circa gli effetti terapeutici della corteccia di china, una sostanza che all’epoca veniva ampiamente utilizzata per preparare sciroppi ad azione tonica e febbrifuga. In particolare, Hahnemann è attratto da una descrizione fatta da Cullen dei sintomi presentati dai lavoratori della china: questi manifestavano una malattia professionale, causata dall’inalazione delle polveri della corteccia, caratterizzata da febbre intermittente con brividi. In base ai suoi studi Hahnemann conosceva il modo per curare le intossicazioni (con dosi “omeopatiche” della sostanza intossicante), e poiché i sintomi degli intossicati da corteccia di china erano simili a quelli dei pazienti malarici (febbri quartane), intuisce la possibilità di applicare la sua “terapia anti-intossicazioni” ai sintomi dei malarici, per gestirne la malattia. La prova diede buon esito: era nata l’Omeopatia.
La breve ricostruzione storica che abbiamo appena fatto ci introduce alla vera legge fondamentale dell’Omeopatia, la Legge di Similitudine: per curare un individuo affetto da una certa malattia bisogna somministrargli la sostanza tossica, il “veleno” che, usato in dosi ponderali nell’uomo sano, è in grado di provocare su questo gli stessi sintomi della malattia in esame (sperimentazione patogenetica).
In base al principio delle dosi infinitesimali, a scopo terapeutico il veleno dovrà essere somministrato all’ammalato, in dosi minime, cioè omeopatiche.
Insieme ai suoi allievi, Hahnemann cominciò a sperimentare su organismi sani molte sostanze (quelle più comuni fra gli “scienziati” dell’epoca: dall’Aconitum alla Belladonna, dall’Oro all’Argento, dai veleni dei serpenti ai minerali più tossici) annotandone gli effetti in maniera minuziosa: intossicando soggetti sani con piccole dosi di queste sostanze, poteva evocare in loro sintomi passeggeri e precisi. Ad ogni sostanza, cioè, corrisponde un quadro sindromico sperimentale; questo quadro sintomatologico prende il nome di Materia Medica del rimedio. La conclusione di queste accurate osservazioni è altrettanto immediata in termini applicativi: quando Materia Medica della sostanza e insieme dei sintomi patologici del paziente corrispondono, per curare la malattia si somministrerà al paziente la stessa sostanza, ma sotto forma di rimedio omeopatico, cioè in dosi infinitesimali, perché a quelle dosi si potrà eccitare, usando le parole di Hahnemann “...la forza vitale del malato“, la sua capacità di autoguarigione.
Mente, corpo e ambiente
Quanta strada da quella mattina d’inverno del 1789 a Lipsia.
Oggi possiamo affermare che nella storia del pensiero medico occidentale Hahnemann sia stato il primo medico a considerare l’ammalato nella sua globalità di mente, corpo e ambiente.
In quel periodo la Medicina tradizionale aveva poche soluzioni come salassi, induzione di vomito, purghe e digiuno. A dominare il pensiero medico dell’epoca era la convinzione che il male dovesse essere estratto dal corpo facendolo fuoriuscire attraverso i suoi liquidi (con il risultato che una gran parte dei pazienti moriva per disidratazione o collasso cardiocircolatorio). Come si può intuire i risultati non erano esaltanti: l’aspettativa di vita non superava i 50 anni e più del 50% dei bambini nati vivi moriva entro i primi due anni.
Non era certamente migliore la situazione sul versante diagnostico: i primi, rudimentali e inaffidabili termometri compariranno, grazie a De Reamur, solo nella seconda metà del Settecento, e sempre di quell’epoca sono i primi manometri di De Hales. Egli fu il primo ad “inventare” la visita clinica, a comprendere l’importanza dell’anamnesi ed a concepire il suo innovativo metodo diagnostico: i sintomi riferiti dal paziente, e indagati minuziosamente dal medico, sono le “parole” con cui “si racconta” la malattia. Eppure Hahnemann fu perseguitato e ferocemente osteggiato dalla classe medica dominante, nonostante egli offrisse ai suoi contemporanei un nuovo mondo terapeutico, con una diversa concezione della Medicina, ma soprattutto con nuovi medicinali più sicuri ed efficaci.
L’Omeopatia è il più innovativo e raffinato metodo per curare i pazienti in modo economico e non violento. Il governo deve incoraggiarla e promuoverla nel nostra Paese. Il Dr. C.F.S. Hahnemann fu un uomo di superiore tensione intellettuale e di alti sentimenti umanitari che fece dono all’umanità di questa grande possibilità. Mi inchino dinnanzi al suo valore e al suo erculeo lavoro.
Mahatma Gandhi – 30 Agosto 1936
[1] M. Aubin, Éléments de pharmacologie homéopathique, in Homéopathie, 1984, nr. speciale: La recherche expérimentale.
[2] https://collections.nlm.nih.gov/bookviewer?PID=nlm:nlmuid-2548017RX2-mvpart