OMEOPATIA E ALLOPATIA, L’UNIONE FA LA FORZA
DIFFERENZA TRA OMEOPATIA E MEDICINA CONVENZIONALE
La recente applicazione della Direttiva europea sui farmaci omeopatici1 ha riaperto il dibattito tra omeopatia e medicina convenzionale. Due diverse concezioni filosofiche e scientifiche delle pratiche mediche. Due diverse metodologie, connotate da background storici e culturali differenti.
La medicina ufficiale, in occidente, ha il pregio di aver trovato soluzioni (a cominciare dall’antibiotico) estremamente utili nelle occasioni in cui l’organismo si trova sopraffatto e necessita di una risposta pronta e immediata. D’altro canto, manifesta alcuni limiti legati alla propria visione della scienza e dell'uomo. Due aspetti in particolare.
L'approccio super specialistico si rivela inadeguato rispetto alla complessità del reale, comprovata dalle nuove scoperte scientifiche nell'infinitamente piccolo e nell'infinitamente grande. Oggi, la moderna fisica quantistica ha messo in crisi l'epistemologia lineare, di tipo razionale-comprensivo, e ha scosso le fondamenta teoriche della fisica classica. Il mondo si è rivelato per quello che è: complesso. E un sistema complesso richiede risposte complesse.
Il criterio settoriale della medicina accademica è contrastato sempre più spesso dai pazienti. Il fatto che nove milioni di persone - è quanto emerge da una recente ricerca di EMG/Acqua per Omeoimprese2– ricorrano alle medicine non convenzionali è da ricondurre alle esigenze dei malati, ai quali non basta una medicina che suddivida l'uomo in parti da analizzare e trattare separatamente.
L’altro aspetto riguarda l’eccessiva standardizzazione dei protocolli terapeutici (le cosiddette linee guida), che spesso rendono difficile al medico proporre una soluzione terapeutica su misura per il paziente e lo inducono, per il rispetto delle linee guida, a prescrivere medicinali non adeguati al quadro clinico complessivo. Lo stesso antibiotico che abbiamo elogiato all’inizio dell’articolo, prescritto in situazioni in cui non è presente un’infezione causata da batteri, si rivela inutile per la soluzione del problema e fa scontare al paziente solamente i suoi effetti indesiderati.
Al contrario, le medicine cosiddette non convenzionali cercano di rispondere, nella pratica, alle esigenze di chi a loro si rivolge: la personalizzazione delle cure, l'attenzione al paziente considerato una persona inserita in un preciso contesto storico e sociale, con la sua specifica (unica) storia clinica ed emozionale ed in diretto rapporto con l’ambiente che lo circonda.
Con un solo obiettivo da perseguire: la cura del soggetto. E una sola precondizione: l'ascolto, il dialogo, l'interazione, la profonda comprensione delle soggettive necessità del paziente.
Anche le medicine non convenzionali hanno i loro limiti: ci sono situazioni, come abbiamo descritto prima, in cui la terapia antibiotica non può essere sostituita con alcun medicinale omeopatico (parliamo ad esempio di un’otite acuta, come purtroppo è stato nel caso di cronaca nel 2017 inerente all’episodio di un bambino di 7 anni che ha perso la vita per la mancanza di cure adeguate3).
Rimane di fondamentale importanza rivolgersi al proprio medico di fiducia quando si manifestano sintomi che rivelano uno squilibrio delle condizioni di salute e preannunciano una possibile malattia, evitando il più possibile erronee modalità di approccio fai-da-te.
Abbiamo chiesto al Dr. Marco Del Prete, medico specialista in Nefrologia e Presidente della International Academy of PRM, qual è il punto di vista di un medico che tutti i giorni nel suo ambulatorio effettua diagnosi su pazienti di ogni età e condizione di salute e che deve decidere, in scienza e coscienza, quale approccio terapeutico seguire.
Dr. Del Prete, questo contrasto così evidente nei Mass Media, che riscontro ha nella sua esperienza clinica quotidiana?
Tra le Medicina Accademica, in altri contesti definita Allopatica e le Medicine Complementari, in particolar modo l’Omeopatia, sembra esistere un contrasto non sanabile.
Si tratta di una strategia che non è chiaro a chi giovi ma probabilmente giova agli estremisti dell’una e l’atra parte del contendere, forse per un istinto nemmeno consapevole di sopravvivenza.
È noto che l’insicurezza e l’ignoranza sono una coppia affiatatissima e decisa a conservare i propri asfittici spazi vitali.
Posso garantire che non esiste contrapposizione alcuna nel sul piano concettuale e nemmeno sul piano operativo e quindi terapeutico, poiché stiamo parlano di medicina.
Il Riduzionismo è un modello di pensiero lineare che ci affranca (scusate il gioco di parole) dalla complessità della complessità.
Sono molte le situazioni in cui ridurre un problema ad un codice lineare di causa ed effetto che comporti un intervento diretto e risolutivo, eventualmente eliminando la causa (ad esempio un battere in una polmonite o un vaso ostruito in un infarto), rappresenta la scelta migliore e più tutelante per il paziente.
Tuttavia, esistono momenti diversi nella salute e nella malattia.
Ci può fare un esempio?
Immaginate una piazza gremita di gente. Ad un certo punto qualcuno inciampa su qualcun’altro e poi si creano piccoli conflitti, tafferugli, che alla fine coinvolgono sempre più persone. Dovranno intervenire i vigili, la polizia, persone volonterose che vogliono prestare aiuto. Non serve nemmeno più capire chi è inciampato per primo ma è necessario ricreare ordine o meglio sarebbe dire un’armonia dinamica e lontana dall’equilibrio.
Per fare questo, poiché la piazza è grande, ci vorranno interventi su più piani, in luoghi diversi, probabilmente nemmeno coercitivi ma mirati, integrati e collaborativi e che ripristinino la coscienza che vivere in una piazza gremita richiede un progetto di convivenza.
Spesso per ripristinare la coscienza d’insieme non serve urlare ma pronunciare con un tono di voce garbato (mi verrebbe da dire a bassa dose più che a bassa voce) parole sensate.
Intanto qualche riduzionista starà medicando le ferite, rianimando i più sfortunati, magari fermerà i più facinorosi e salverà molte vite. Non è un lavoro di secondo piano, è altrettanto importante e certamente complementare.
Il riduzionismo deleterio è quello che si ostina a cercare un colpevole, quasi con la stessa ottusità con cui nel Medioevo si bruciavano le streghe in piazza.
In un sistema biologico popolato di batteri, un singolo batterio non è sempre il colpevole e molte patologie cardiovascolari non trovano spiegazione nei meccanismi causali abitualmente presi in considerazione.
Come descriverebbe il ruolo delle Medicina Low Dose (a basso dosaggio) in questa piazza?
La Natura è una alchimia straordinaria ed è opportuno imitarne i canoni. I grandi sistemi che compongono la nostra unità biologica parlano, per coordinarsi un linguaggio sussurrato. Tra l’altro il volume è un contesto relativo al luogo in cui si sta parlando. Le orecchie delle nostre cellule (i recettori) sono estremante sensibili e vanno in sofferenza e si chiudono se noi comunichiamo con una voce molto alta.
Ormoni, citochine, fattori di crescita, neuromediatori e neuropetidi (le cosiddette molecole messaggere) si esprimono in un registro di concentrazione sovrapponibile a quello di molti farmaci omeopatici in commercio ed era inevitabile che la Medicina Low Dose li arruolasse nella sua strategia terapeutica.
Comunicare con le giuste parole al giusto volume alla piazza della nostra complessità è un modo per far riaffiorare quei modelli di organizzazione che talvolta sono smarriti ma ancora presenti.
Quando non è più possibile bisognerà riparare ciò che è rotto (e non certo un lavoro semplice e richiede straordinaria competenza e professionalità) o somministrare ciò che manca (l’insulina ad un diabetico).
Il Riduzionismo e la Medicina della complessità sono due aspetti della stessa realtà: l’atto medico che è un progetto di cura.
DIFFERENZA TRA OMEOPATIA, FITOTERAPIA E ALLOPATIA
La differenza fondamentale fra la medicina allopatica e le medicine complementari più conosciute è racchiusa nel concetto di malattia. Secondo la medicina convenzionale la malattia è un’entità ben precisa, caratterizzata da un’evoluzione naturale e da sintomi specifici collegati al malfunzionamento di uno o più organi e provocata da svariate cause (per esempio, un’infezione, un gene difettoso, l’alterazione di un processo metabolico, un’allergia).
Per le medicine complementari, al contrario, la malattia si configurerebbe come un’alterazione dello stato di omeostasi dell’organismo, che si allontana dal suo equilibrio fisiologico.
La medicina convenzionale tende a considerare la malattia come un processo lineare, cioè una deviazione dello stato di salute prodotta da determinate cause e manifestante precisi sintomi, che richiedono farmaci soprattutto finalizzati al loro trattamento.
Tale modalità interpretativa viene considerata riduzionista dalla medicina complementare, che considera la malattia come l’espressione di uno squilibrio che coinvolge molti sistemi di controllo integrati e interconnessi, che di per sé tendono ad autoregolarsi attraverso un sofisticato sistema di comunicazione e del relativo e costante aggiustamento compensatorio.
Facciamo un esempio: uno stato di continuo stress può alterare le nostre capacità di controllo. Se la causa di questa condizione usurante è indipendente dalla nostra volontà e possibilità di scelta, a lungo andare si potranno manifestare sintomi come cattiva digestione, bruciore allo stomaco o spasmi all’intestino (colon irritabile), dato che il bersaglio più frequente del nostro disagio psichico è proprio l’apparato digerente.
L’approccio terapeutico di siffatta condizione potrà dunque essere limitato a curare la difficoltà digestiva, a tamponare l’infiammazione dello stomaco o ad assumere antispastici intestinali, oppure a considerarli come spie di un disagio più profondo, emozionale, che va trattato in quanto vera causa, senza naturalmente trascurare le sue manifestazioni più fastidiose.
Tra le medicine non convenzionali più diffuse e note al vasto pubblico figura l’omeopatia, che si basa sulla teoria secondo cui le sostanze tossiche che inducono nell’organismo alterazioni del suo equilibrio omeostatico sono anche la cura che riporta l’organismo al suo fisiologico equilibrio, se somministrate in soluzioni diluite e dinamizzate. L’omeopatia nasce nella seconda metà del Settecento per opera del medico tedesco Samuel Hahnemann, secondo il quale il principio alla base della terapia non è quello degli “opposti” (contraria contrariis curantur “gli opposti si curano con gli opposti”), ma quello dei “simili” (similia similibus curantur “i simili si curano con i simili”).
Nonostante venga spesso confusa con l’omeopatia, la fitoterapia (che letteralmente significa “curarsi con le piante” officinali e aromatiche) utilizza preparati di origine vegetale contenenti principi attivi in concentrazioni ponderali, cioè non diluite, dette anche tinture madri, o estratti, o macerati glicerici (secondo il tipo di solvente utilizzato per la loro estrazione). Infatti, è dalla fitoterapia che nel passato ha avuto origine, attraverso la separazione e concentrazione dei principi attivi, la moderna farmacoterapia.
Questo perché le piante officinali sono ricche di sostanze chimiche, talora anche molto complesse, dotate di attività farmacologiche anche potenzialmente tossiche, se mal gestite.
Tanto che gli effetti indesiderati, le interazioni farmacologiche, le controindicazioni, così come le reazioni allergiche, sono più comuni di quanto si possa pensare. Tutto questo ci fa capire che non bisogna considerare la fitoterapia come una “medicina alternativa”, bensì come una vera e propria medicina allopatica da utilizzare principalmente in un contesto di prevenzione e d’integrazione alla terapia farmacologica convenzionale.
Il concetto di allopatia (dal greco àllos, altro, e pathos, medicina) fu creato dallo stesso Hahnemann, che gli assegnò una connotazione dispregiativa, in cui rimarcava l’utilizzo di rimedi capaci di provocare nell’individuo effetti o sintomi opposti a quelli della malattia da curare (ne è esempio l’antibiosi). Ad oggi il concetto di allopatia è desueto, in quanto il fondamento della medicina basata sul metodo scientifico ha come unico obiettivo quello della ricerca di farmaci efficaci e sicuri (anche se con effetti indesiderati documentati, che tuttavia consentano un favorevole rapporto rischio/beneficio).
UN ESEMPIO DI CURA ALLOPATICA
Abbiamo già detto del trattamento terapeutico allopatico, il quale prevede che una malattia debba essere curata creando una situazione opposta a quella che l’ha determinata.
Per trattare i sintomi di una malattia, l'allopatia prevede quindi l'utilizzo di farmaci che agiscono contrastando il sintomo stesso nel tentativo di eliminarlo. Ad esempio: ci si oppone allo sviluppo di un'infezione batterica con la somministrazione di un antibiotico, farmaco tossico per il microrganismo patogeno, che è la causa dell'infezione stessa.
I farmaci allopatici si concentrano sul sintomo e lo combattono, con un’evidente utilità ad esempio nella medicina d’urgenza e nelle malattie acute, dove il rischio di effetti indesiderati è solitamente trascurabile rispetto ai risultati ottenuti in un tempo breve nello sconfiggere l’agente patogeno.
COME AGISCE L’OMEOPATIA
Quando si parla di medicina omeopatica e delle sue applicazioni, le domande che ricorrono sono sempre le stesse. I farmaci omeopatici funzionano davvero? Come si fa a fornire le prove scientifiche della loro efficacia? Un’opinione assai diffusa, non solo tra i medici, è che non esistano prove convincenti sull’efficacia dell’omeopatia, ma che si tratti di una manovra commerciale che sfrutta l’effetto placebo.
Le conclusioni di questi discorsi convergono in buona sostanza sull’impossibilità di rintracciare molecole dei principi attivi e, quanto alla loro azione, si parla genericamente di “effetto placebo”, una sorta di autoconvincimento che consentirebbe di affrontare semplici patologie (il raffreddore o poco più) e comunque malattie che guarirebbero da sole.
Oggi, però, le critiche che l’Omeopatia sia poco efficace e che i farmaci funzionino per effetto placebo si scontrano con studi scientifici, versus placebo e versus competitor allopatici, che ne dimostrano la non inferiorità4.
La tesi circa l’assenza di molecole riguarda una stretta minoranza di farmaci omeopatici: quelli cosiddetti ad alta diluizione. La maggior parte dei farmaci omeopatici, invece, contiene principi attivi in concentrazioni omeopatiche, ovvero diluite, ma chimicamente presenti. Ben al di sopra del famoso numero di Avogadro, che individua il numero di molecole presenti in una grammomolecola di qualunque sostanza. Diluendo la tintura madre vengono ridotte le molecole presenti, ma prima di veder scomparire chimicamente una molecola ad esempio di peso molecolare pari a 100 bisogna arrivare alla diluizione 12 CH.
Esperimenti preclinici o su cellule coltivate “in vitro”, cioè in laboratorio, hanno dimostrato che bassi dosaggi di alcune molecole hanno gli stessi effetti biologici delle alte concentrazioni – ovvero dei principi presenti in quantità ponderale - di solito usati nella medicina convenzionale. Queste prove, condotte con i criteri della sperimentazione accademica, internazionalmente accettata, hanno dimostrato non solo che questi bassi dosaggi hanno la stessa efficacia delle concentrazioni ponderali, ma anche che non producono effetti indesiderati e, generalmente, non presentano controindicazioni4.
Il meccanismo d’azione dei farmaci omeopatici non è ancora del tutto compreso. Alcune ipotesi sostengono che il farmaco omeopatico possa essere considerato come un “segnale” che viene inviato alle cellule dell’organismo tramite le molecole contenute all’interno del farmaco. Queste vanno a legarsi con i recettori della cellula, riequilibrandone le funzioni. Ciò che diventa fondamentale perché questo legame ligando-ricettore avvenga è il volume con cui il messaggio viene trasmesso, ovvero la diluizione. Troppa o troppo poca diluizione può alterare la predisposizione dei recettori all’ascolto del messaggio, così come avviene – per fare un paragone – con le nostre orecchie quando udiamo un rumore assordante o un sussurro poco percepibile.
Coulter, uno storico della medicina, sostiene che il legame tra l’immunoterapia e l’omeopatia è ben fondato. Behring, uno dei fondatori dell’immunoterapia, considerava l’omeopatia come l’antesignana dell’immunoterapia e della siero–terapia5.
Il prof. Luc Montagnier, Premio Nobel 2008 per la medicina, nell’ambito del convegno "Integrazione tra fisica, chimica e biologia alla base della medicina del futuro", tenutosi a Milano nell’ottobre del 2013, aveva illustrato uno studio da lui condotto in cui illustrava la presenza di onde elettromagnetiche emesse da alcuni batteri nonostante fossero stati diluiti, creando un’analogia con quanto avviene nel processo omeopatico.
EFFETTI INDESIDERATI DEI FARMACI ALLOPATICI
I farmaci allopatici presentano il rischio di effetti indesiderati perché, per garantire un’azione terapeutica efficace, devono necessariamente raggiungere una concentrazione di molecole di principio attivo che garantisca una valida azione di blocco (anti-).
Oltre alle molecole del farmaco, nel sangue si trovano anche i suoi metaboliti, prodotti della trasformazione ad opera del fegato, i quali devono essere “smaltiti” dall’organismo per varie vie, prima fra tutte la via renale.
Si può verificare in alcuni casi un danno indiretto provocato dal farmaco ad altri organi, come nel caso dello stomaco, nel quale certi farmaci alterano la naturale protezione della parete mucosa con conseguenze anche gravi (ad es. gastriti e gastroduodeniti causati dall'assunzione di FANS – Farmaci Antinfiammatori Non Steroidei), come l’insorgenza di ulcere e serie emorragie.
CONTROINDICAZIONI DELL’OMEOPATIA
I farmaci omeopatici devono essere attentamente scelti e prescritti da un medico esperto. Egli deve essersi formato – dopo la laurea in medicina – attraverso un percorso di studi dedicati all’apprendimento del metodo in cui vengono illustrati i fondamenti dell’omeopatia, i suoi limiti e le sue modalità di applicazione, nonché le prove a sostegno favorevoli al suo ricorso nei vari ambiti clinici.
La prima controindicazione riguarda, come per tutti i medicinali, l’utilizzo di un farmaco omeopatico in un quadro sintomatologico che non prevede la possibilità di un suo uso ragionevole, come nel caso di un’urgenza o di una emergenza.
Questo problema può verificarsi sia con l’automedicazione sia con l’errata valutazione, da parte del medico, del quadro medesimo.
Sottovalutare un quadro clinico complesso, come quello di un’otite in un bimbo piccolo3 di cui abbiamo parlato all’inizio di questo articolo, sia da parte dei genitori, sia da parte del medico curante, trattandolo esclusivamente con l’Omeopatia o con altri rimedi naturali, può portare ad esiti infausti. In questi casi, purtroppo, il problema viene automaticamente attribuito all’Omeopatia, cioè al metodo terapeutico, mentre l’attenzione dovrebbe essere rivolta alla necessità di optare per la scelta terapeutica più opportuna, che ciascun medico di base o specialista deve valutare a seconda del quadro clinico del paziente che sta visitando.
Gli effetti indesiderati di un farmaco omeopatico non possono essere paragonati a quelli descritti per i farmaci allopatici, poiché la loro composizione non prevede una concentrazione di principio attivo così elevata da mettere in difficoltà gli organi emuntori (in particolare fegato e reni) o causare danni da sovraccarico ad altri organi.
È possibile tuttavia che si verifichino effetti indesiderati con il loro uso, talvolta descritti come “peggioramento omeopatico”. Questa condizione è da considerare come uno stato transitorio attuato dall’organismo nel tentativo di ripristinare il suo equilibrio fisiologico, costituito da passaggi intermedi nei quali si possono manifestare sintomi come mal di testa, ipersalivazione, eruzioni cutanee, disturbi intestinali e momentanei malesseri di entità limitata. Queste situazioni hanno sempre bisogno di un costante monitoraggio da parte del proprio medico di fiducia, perché si assicuri che il decorso della malattia sia controllato.
QUANDO USARE L’OMEOPATIA
L’Omeopatia si può considerare a tutti gli effetti terapia d’elezione in prevenzione e nelle patologie croniche. Il suo contributo in overlapping (ovvero in unione) con la medicina convenzionale può essere utile anche in patologie acute come supporto all’organismo. Così può essere migliorata l’eliminazione di tossine dal corpo (drenaggio), reso più efficiente il nostro sistema di difesa (immunità) e può essere sostenuta l’efficienza degli organi emuntori (disintossicazione). La sinergia che si realizza dall’uso contemporaneo dei due sistemi di terapia consente talvolta di ricorrere a dosaggi inferiori e per periodi più brevi del prodotto meno tollerato, rendendo meno gravosi gli effetti indesiderati.
I campi di d’applicazione in cui l’Omeopatia ha dimostrato risultati interessanti sono le malattie da raffreddamento a carico delle prime vie respiratorie, influenza compresa, quelle virali, allergiche e gastroenteriche. Eccellenti risultati sono stati riscontrati anche nella terapia del dolore a carico dell’apparato muscolo scheletrico.
Nel nostro organismo è necessario un continuo scambio di messaggi tra i vari organi e tessuti; non tutte le cellule, però, hanno lo stesso alfabeto e sono in grado di comprenderli. Le ghiandole endocrine producono ormoni, le cellule del sistema nervoso producono neuropeptidi e quelle del sistema immunitario producono citochine. Viaggiando all’interno dell’organismo, queste molecole-messaggere trasportano le informazioni da una parte all’altra del corpo. A queste si affiancano i fattori di crescita, fondamentali molecole di regolazione e stimolo tissutale.
Oggi, la ricerca avanzata nel campo della Biologia Molecolare ha dimostrato che gli stress psichici e fisici, soprattutto se prolungati nel tempo, possono alterare il delicato meccanismo che regola il mantenimento dello stato di salute: la risposta ad uno stress induce nell’organismo modificazioni nella concentrazione di ormoni, di neuropeptidi e di citochine che, in eccesso o in difetto, possono danneggiare le cellule dando inizio a una cascata di eventi che può culminare in uno stato patologico (malattia).
La tecnica di diluizione dei bassi dosaggi, unita alla tecnica di dinamizzazione chiamata SKA (Sequential Kinetic Activation) consente di utilizzare queste molecole biologiche, presenti in dosi infinitesimali all’interno del nostro organismo, all’interno di una nuova categoria di farmaci, chiamata appunto farmaci dei bassi dosaggi. Nasce così la Medicina dei bassi dosaggi (o Low Dose Medicine), le cui applicazioni terapeutiche sono solo agli inizi.
Un organismo in salute può essere paragonato ad una bilancia in cui i due piatti sono in perfetto equilibrio. Questa condizione ideale si raggiunge quando le molecole-messaggere che scambiano informazioni sono a loro volta perfettamente bilanciate. Il loro squilibrio, viceversa, è causa di numerosi quadri morbosi, inquadrabili, secondo il comparto colpito, come disturbi psico-somatici, neurologici, endocrini e immunitari. È in tali ambiti che si sta attivamente indagando la promettente utilità di queste sostanze prodotte con tecnica omeopatica (diluite e dinamizzate).
INTEGRARE RIMEDI OMEOPATICI E ALLOPATICI, QUALI BENEFICI SI POSSONO RISCONTRARE
La Medicina è una e una sola, le pratiche curative possono essere molteplici. La differenza è determinata dal medico con il suo patrimonio di conoscenze, di esperienze cliniche e di strumenti a disposizione. I benefici della medicina integrata sono evidenti, una volta usciti dalle barriere ideologiche per le quali, come se fosse una partita di calcio, ci si schiera da una parte o dall’altra: si sfruttano i punti di forza di tutte le pratiche terapeutiche disponibili e si compensano i rispettivi punti di debolezza.
La Medicina è in prima istanza al servizio dell’Uomo, perché è stata inventata per curare i suoi stati disfunzionali. Per il medico e per il paziente l’unico obiettivo comune è la guarigione, intesa come ripristino del corretto equilibrio dell’intero organismo. Nessuna barriera dovrebbe frapporsi per ostacolare o impedire il raggiungimento di questo obiettivo, né ideologica, né scientifica.
1 https://www.aifa.gov.it/medicinali-omeopatici
4 https://guna.com/it/low-dose-medicine-omeopatia-le-prove-scientifiche/
5 Behring: Beitrage zur Experimentellen Therapie, H. 1906