Cosa sono le emozioni

Paolo Serra
Dott. Paolo Serra

Psicologo, psicoterapeuta, psicoanalista.

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Il termine emozione conta molti tentativi di definizione precise. Ma, in realtà, le varie interpretazioni vanno dall’ansia all’angoscia, dall’ira alla vergogna. Le emozioni hanno a che fare, quindi, col complesso mondo della spiritualità umana.

Coprendo una così vasta rappresentazione dell’io della persona, gli studiosi che si occupano del fenomeno concordano quasi tutti solo sugli effetti che esse procurano negli individui, soprattutto a livello neurofisiologico.

emozioni

Esse sono presenti nelle reazioni di avvicinamento e/o di evitamento, oppure di attrazione e/o di repulsione. Non potrebbe esistere nessuna possibilità di passione umana se essa non si incarnasse emotivamente nel corpo e nella mente degli esseri viventi. Possiamo vedere come le emozioni siano oggi largamente utilizzate per veicolare gli interessi pubblicitari quando si vuole incitare la popolazione all’acquisto oppure al consumo di determinate merci.

La pubblicità delle emozioni

La pubblicità più accorta, quella che utilizza i Big Data e la psicologia cognitiva degli esseri umani, presenta ogni prodotto che promuove attraverso un’immagine che stimola l’emozione del pubblico.

Nei più sofisticati filmati non si vede nemmeno il prodotto all’inizio, si presenta una serie di scene che promuovono le emozioni del pubblico e solo alla fine del filmato appare il marchio che si vuole promuovere.

Le emozioni sono fondamentali anche in periodi di guerra. Sono veicolate ad esempio nella scelta di mostrare o meno immagini di civili uccisi per indicare quanto il nemico sia crudele e disumano. E le emozioni creano reazioni, spesso impulsive e non razionali, nell’animo umano. Reazioni di sdegno e raccapriccio possono portare ad affidarsi ad una logica di conflitto piuttosto che di distensione e mediazione.

La consapevolezza

La consapevolezza che queste stesse emozioni che noi proviamo mentre siamo davanti alla televisione o leggiamo un giornale non sono apparse “per caso”, ma conosciute da chi lavora nel mondo della comunicazione ci deve servire come consapevolezza. Per loro natura infatti, come dicevo prima, le emozioni tendono a trascinarci verso decisioni affrettate e ci tolgono quello che in gergo chiamiamo “il lume della ragione”.

Insisto sul tema della consapevolezza: non è reprimere o ignorare le emozioni l’alternativa al lasciarsi trascinare. L’esserne consapevoli ci permette di comprendere al meglio in che situazione ci troviamo, prendendo decisioni più – appunto – consapevoli. Le cause delle emozioni e di ciò che le determinano sono perlopiù inconsce agli stessi protagonisti.

L'inconscio

L’inconscio rappresenta oltre i tre quarti dei nostri contenuti mentali, e non sorprende che sia così complesso definire la causa specifica che attiva l’emozione. L’emozione emerge dallo stato di inconsapevolezza dell’io alla parte conscia, e questa apparizione inaspettata procura una sorta di sorpresa di quello che viene percepito dai sensi.

Negli esseri umani la cultura di ogni gruppo sociale ne determina la possibilità di gestione, di manifestazione e di controllo. Per tentare di esemplificare il tema nella nostra cultura, per esempio, gli uomini vengono condizionati a non esprimerle perché ritenute un segno di debolezza, di scarsa capacità virile, mentre alle donne si concedono più tolleranze quando esse si esprimono, nell’implicito presupposto che le donne sono e debbono essere meno virili del maschio.

Gli aspetti emotivi primari

Eppure, i continui aggiustamenti culturali modificano anche aspetti emotivi primari, per cui non è raro oggi trovare donne fredde, cioè donne che non manifestano nessuna emozione nemmeno in situazioni di tenerezza, e maschi caldi, che si commuovono per qualsiasi situazione inaspettata e tenera che gli possa capitare.

Questo condizionamento culturale non viene quasi però esplicitamente messo in discussione, se non in maniera poetica e letteraria, oppure reattiva. Nessuno di noi può sostenere di essere esente da tutti i tipi di emozione che gli esseri viventi provano. Dentro di noi convivono la gioia e lo sconforto, la passione amorosa e quella distruttiva, l’ammirazione e l’invidia, la calma e l’ira. Bisogna imparare a riconoscersele ed a integrarle dentro di sé, diventando veramente completi con tutte le varie parti che compongono la persona che siamo. Controllare le emozioni per poterle poi gestire presuppone la capacità di gestire l’energia di cui siamo fatti. Questa energia, che è quella che attiva la vita, non è normalmente tenuta sotto controllo dalla nostra parte conscia, essendo la sua attivazione legata più agli insight che noi produciamo nella nostra vita mentale piuttosto che agli schemi ripetitivi che abitano il nostro cervello.

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Gli orizzonti della ricerca farmaceutica

Per quello che riguarda il controllo uditivo, le ricerche neurofisiologiche hanno consentito alle aziende farmaceutiche di dar vita ad un vasto spettro di farmaci in grado di attivare e/o disattivare vari circuiti neurali in cui sono presenti emozioni negative e non adattative.

Senza entrare nel meccanismo in cui questi farmaci agiscono, va evidenziato che comunque raramente è possibile limitarne gli effetti a una parte delle connessioni neurali sui quali si vorrebbe agire, per cui si hanno effetti collaterali anche molto indesiderabili perché ogni connessione neurale risponde a una pluralità di funzioni. Non va dimenticato che il cervello umano è molto evoluto nei milioni di anni in cui siamo apparsi, anche se negli ultimi millenni gli studiosi sottolineano una continua capacità di degenerazione strutturale del cervello stesso.

Non mancano i futurologi anche in questo campo. Attraverso lo sviluppo accelerato dell’intelligenza artificiale, la robotica, le nanotecnologie e le biotecnologie applicate all’umano, sono in campo milioni di scienziati, ingegneri e tecnici, dotati di fondi economici illimitati, che sono incaricati di ibridare l’uomo con le macchine e costruire un nuovo essere vivente esente finalmente dai limiti che l’umano normalmente è e manifesta nella sua vita.

Prova a trattenere le emozioni...

Non possiamo affrontare qui un discorso estremamente complicato, in cui sono comunque presenti anche le emozioni. Non c’è nessuna parte dell’emisfero terrestre dove le culture locali non abbia una propria modalità di gestione delle emozioni. Ogni tentativo di trattenere o di spegnere le emozioni non può peraltro che limitare la conoscenza della parte inconscia del nostro io funzionale e adattativo. L’impoverimento ha conseguenze gravi, per fare un solo esempio, anche per i meccanismi di attivazione dell’apprendimento, legati essenzialmente alle emozioni. Non si da nessun apprendimento senza attivazione delle emozioni, poiché sono esse che determinano il grado di attenzione cui noi prestiamo interesse nell’ambiente che ci circonda. In sintesi, quando apprendiamo qualcosa lucidamente, è perché l’attenzione è vigile e se non siamo emozionati da quello che avviene, non c’è la necessaria presenza attentiva.

Le emozioni inconsce

Faccio un esempio clinico, in cui si vedono come funzionano le emozioni inconsce che ci governano. In un incontro di supervisione clinica di operatori della salute mentale, Marcella, una giovane educatrice, porta una sua situazione lavorativa che la mette in difficoltà. Marcella svolge il lavoro di educatrice in una Comunità psichiatrica ed ha il compito di stare vicino a una paziente ricoverata.

Marcella esordisce così: Vi parlo di Maria. Ha quarantacinque anni e la cooperativa per la quale lavora mi manda da lei quattro ore la settimana per starle vicino. Maria ha la schizofrenia, ci sono momenti in cui si arrabbia moltissimo, e allora si mettono quattro o cinque persone per tenerla. Ha una forza mostruosa, anche quando è a terra, fanno molta fatica a contenerla, schiuma perfino bava dalla bocca. Io sono proprio indignata da questo trattamento, vorrei che la prendessero con più umanità. Mi sento impotente, ne ho parlato anche con i coordinatori, i quali mi dicono che un lavoro di rete è impossibile. Io non ci credo, sono sicura che si possa fare qualcosa. Però, adesso mi rendo conto che anch’io sto mollando. L’ultima mattina che dovevo andare da lei mi hanno offerto di fare un’altra cosa e io ho detto di sì. Poi mi sono pentita ed ho ripreso l’impegno con Maria, ma questo episodio mi ha fatto capire che non ci credo più in questo intervento.”.

La materia prima con cui costruiamo il nostro mondo

Ho riportato quasi integralmente il contenuto che la collega educatrice ha portato in supervisione. Vi sono certamente molti aspetti di questa storia che meritano di essere approfonditi e, infatti, vari membri del gruppo avanzano domande di chiarimento e di approfondimento. C’è chi chiede se Maria si comporta così anche con la collega, chi rivendica la necessità di un lavoro di rete con gli altri operatori dei Servizi quando ci si trova a lavorare con una paziente così difficile e grave. Io faccio un poco sbollire gli animi che si sono accalorati, anche Marcella parla con toni molto accesi ed è visibilmente emozionata, pur essendo una persona che normalmente trattiene molto l’emozione che prova.

Ma parlare di Maria le fa venir voglia di piangere, è l’unica paziente che segue che la scombussola in questo modo. Quando le chiedo come mai dice che Maria “ha la schizofrenia”, la collega rimane un poco sorpresa. Dice che il suo Servizio la manda ad assistere Marcella proprio perché ha questa malattia che le è stata diagnosticata e lei trova che, effettivamente, Marcella si comporta molto stranamente.

Le chiedo se cambia qualcosa per lei immaginare Marcella come una persona che “sia anche schizofrenica”, piuttosto che come una persona che “ha la schizofrenia”. Non l’avessi mai proposto! La collega cade in una visibile emozione e parla di se stessa e della situazione della sua famiglia, una storia complicata che non sto a raccontarvi, ma che si conclude con Marcella che riconosce la grande identificazione che ha fatto di se stessa con la sua paziente, e il desiderio di fuggire dalla tragica storia del suo passato.

Tutti i membri del gruppo rimangono molto scossi e partecipi. Alla fine Marcella, ringraziandoci di averle consentito di capire perché vuole scappare da Maria, promette che però non ci parlerà più di sé. Il gruppo protesta visibilmente, dicendole che è la prima volta che emerge così chiaramente come l’educatore sia così grandemente influenzato dalle proprie paure nel trattare i pazienti e continuano dicendo che non si capisce come si possa fare bene questo lavoro senza comprendere emotivamente e razionalmente meglio le proprie storie. A fine seduta chiedo a Marcella come pensa di poter utilizzare quello che è emerso in supervisione nel seguito del suo lavoro e con un grande sorriso dice: “Adesso almeno so perché faccio alcune scelte e non ne faccio altre”.

Le emozioni sono quindi la materia prima con cui noi costruiamo il nostro mondo rappresentazionale e cognitivo. Gli input sono primariamente provenienti dall’interno di noi stessi, prima che la relazione col mondo esterno le faccia vedere e rappresentare cognitivamente. L’emozione di Marcella è dentro se stessa e nella relazione che ha registrato tra lei e i suoi familiari e che tenacemente ha tentato di rimuovere dalla consapevolezza, senza rendersi conto che esse continuavano ad agire e funzionare, a sua insaputa beninteso, in maniera inconscia.

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