Overlapping
Integrare rimedi omeopatici e allopatici, quali benefici si possono riscontrare
La Medicina è una e una sola, le pratiche curative possono essere molteplici. La differenza è determinata dal medico con il suo patrimonio di conoscenze, di esperienze cliniche e di strumenti a disposizione. I benefici della medicina integrata sono evidenti, una volta usciti dalle barriere ideologiche per le quali, come se fosse una partita di calcio, ci si schiera da una parte o dall’altra: si sfruttano i punti di forza di tutte le pratiche terapeutiche disponibili e si compensano i rispettivi punti di debolezza.
La Medicina è in prima istanza al servizio dell’Uomo, perché è stata inventata per curare i suoi stati disfunzionali. Per il medico e per il paziente l’unico obiettivo comune è la guarigione, intesa come ripristino del corretto equilibrio dell’intero organismo. Nessuna barriera dovrebbe frapporsi per ostacolare o impedire il raggiungimento di questo obiettivo, né ideologica, né scientifica.
Abbiamo chiesto al Dr. Marco Del Prete, medico specialista in Nefrologia e Presidente della International Academy of PRM, qual è il punto di vista di un medico che tutti i giorni nel suo ambulatorio effettua diagnosi su pazienti di ogni età e condizione di salute e che deve decidere, in scienza e coscienza, quale approccio terapeutico seguire.
Cos’è l’overlapping – Dr. Marco del Prete
Dr. Del Prete, questo contrasto così evidente nei Mass Media, che riscontro ha nella sua esperienza clinica quotidiana?
Tra le Medicina Accademica, in altri contesti definita Allopatica e le Medicine Complementari, in particolar modo l’Omeopatia, sembra esistere un contrasto non sanabile.
Si tratta di una strategia che non è chiaro a chi giovi ma probabilmente giova agli estremisti dell’una e l’atra parte del contendere, forse per un istinto nemmeno consapevole di sopravvivenza.
È noto che l’insicurezza e l’ignoranza sono una coppia affiatatissima e decisa a conservare i propri asfittici spazi vitali.
Posso garantire che non esiste contrapposizione alcuna nel sul piano concettuale e nemmeno sul piano operativo e quindi terapeutico, poiché stiamo parlano di medicina.
Il Riduzionismo è un modello di pensiero lineare che ci affranca (scusate il gioco di parole) dalla complessità della complessità.
Sono molte le situazioni in cui ridurre un problema ad un codice lineare di causa ed effetto che comporti un intervento diretto e risolutivo, eventualmente eliminando la causa (ad esempio un battere in una polmonite o un vaso ostruito in un infarto), rappresenta la scelta migliore e più tutelante per il paziente.
Tuttavia, esistono momenti diversi nella salute e nella malattia.
Ci può fare un esempio?
Immaginate una piazza gremita di gente. Ad un certo punto qualcuno inciampa su qualcun’altro e poi si creano piccoli conflitti, tafferugli, che alla fine coinvolgono sempre più persone. Dovranno intervenire i vigili, la polizia, persone volonterose che vogliono prestare aiuto. Non serve nemmeno più capire chi è inciampato per primo ma è necessario ricreare ordine o meglio sarebbe dire un’armonia dinamica e lontana dall’equilibrio.
Per fare questo, poiché la piazza è grande, ci vorranno interventi su più piani, in luoghi diversi, probabilmente nemmeno coercitivi ma mirati, integrati e collaborativi e che ripristinino la coscienza che vivere in una piazza gremita richiede un progetto di convivenza.
Spesso per ripristinare la coscienza d’insieme non serve urlare ma pronunciare con un tono di voce garbato (mi verrebbe da dire a bassa dose più che a bassa voce) parole sensate.
Intanto qualche riduzionista starà medicando le ferite, rianimando i più sfortunati, magari fermerà i più facinorosi e salverà molte vite. Non è un lavoro di secondo piano, è altrettanto importante e certamente complementare.
Il riduzionismo deleterio è quello che si ostina a cercare un colpevole, quasi con la stessa ottusità con cui nel Medioevo si bruciavano le streghe in piazza.
In un sistema biologico popolato di batteri, un singolo batterio non è sempre il colpevole e molte patologie cardiovascolari non trovano spiegazione nei meccanismi causali abitualmente presi in considerazione.
Come descriverebbe il ruolo delle Medicina Low Dose (a basso dosaggio) in questa piazza?
La natura è una alchimia straordinaria ed è opportuno imitarne i canoni. I grandi sistemi che compongono la nostra unità biologica parlano, per coordinarsi un linguaggio sussurrato. Tra l’altro il volume è un contesto relativo al luogo in cui si sta parlando. Le orecchie delle nostre cellule (i recettori) sono estremante sensibili e vanno in sofferenza e si chiudono se noi comunichiamo con una voce molto alta.
Ormoni, citochine, fattori di crescita, neuromediatori e neuropetidi (le cosiddette molecole messaggere) si esprimono in un registro di concentrazione sovrapponibile a quello di molti farmaci omeopatici in commercio ed era inevitabile che la Medicina Low Dose li arruolasse nella sua strategia terapeutica.
Comunicare con le giuste parole al giusto volume alla piazza della nostra complessità è un modo per far riaffiorare quei modelli di organizzazione che talvolta sono smarriti ma ancora presenti.
Quando non è più possibile bisognerà riparare ciò che è rotto (e non certo un lavoro semplice e richiede straordinaria competenza e professionalità) o somministrare ciò che manca (l’insulina ad un diabetico).
Il Riduzionismo e la Medicina della complessità sono due aspetti della stessa realtà: l’atto medico che è un progetto di cura.