Benessere e speranza di vita

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Cos’è la speranza o aspettativa di vita

Longevità ma in salute

Nel periodo che stiamo vivendo

“l'uomo soffre la crisi della speranza, si allontana dagli altri, abbandona il mondo e si chiude nel nascondiglio”.

A rilevarlo è Józef Stanisław Tischner autore della raccolta “Il mondo della speranza umana”. Nella filosofia del pensatore polacco l'uomo viene percepito come un pellegrino che vive sulla terra in un determinato momento. Nel suo viaggio attraverso il tempo, l’uomo sperimenta diversi valori, tra quelli fondamentali vi è la speranza.

In senso stretto, dunque, la speranza è un sentimento di serena fiducia nell'avvenire.

La speranza, o aspettativa, di vita è un indicatore dei livelli di sopravvivenza di una popolazione. Più precisamente misura il tempo medio di permanenza in vita a partire da una specifica età.

In passato, la durata media di vita superava i 35 anni appena. Ancora a inizio XIX secolo in nessun paese del mondo si elevava sopra i 40 anni. Oggi, in Giappone l’aspettativa di vita delle donne ha superato gli 85 anni e vari Paesi europei stanno superando tale soglia. L’Italia è tra le nazioni nelle quali si vive più a lungo.

La speranza di vita per un gruppo particolare della popolazione o della persona dipende da molte variabili in cui rientrano lo stile di vita, l’accesso alla sanità, la nutrizione, lo stato economico, la mortalità e i dati pertinenti della morbosità. Però… mentre la speranza di vita è calcolata in base alle medie, una persona può vivere per molti anni di più, o di meno, rispetto a quanto previsto.

Speranza di vita italia

L’età media dei cittadini italiani è andata crescendo nel corso dell’ultimo secolo, in particolare dagli anni ‘50 in poi, anche grazie alla qualità del servizio sanitario nazionale[1].

Ciò nonostante, i livelli di salute risultano diseguali lungo lo stivale, con picchi negativi nelle Regioni del Centro Sud, a causa soprattutto di differenze socioeconomiche, ma non solo.

Secondo quanto riportato dall’“Atlante italiano delle disuguaglianze di mortalità per livello di istruzione”[2], pubblicato nella Rivista dell’Associazione italiana di epidemiologia, le persone meno istruite hanno un’aspettativa di vita inferiore di tre anni rispetto a quelle più istruite. Questi dati confermano i risultati di uno studio del 2018[3] condotto dall’Osservatorio Nazionale sulla Salute nelle Regioni Italiane, secondo il quale gli italiani più longevi sono quelli più istruiti e che vivono nel Nord Est.

Oltre al luogo di residenza è importante il grado di scolarizzazione. Nel nostro Paese, infatti, un cittadino con un livello di istruzione basso può sperare di vivere fino a 77 anni. Un individuo che possiede almeno una laurea fino a 82. Il titolo di studio sembra incidere anche sulla presenza di malattie croniche. Fra i 25 e i 44 anni la prevalenza di persone con almeno una malattia cronica grave è del 5,8% tra coloro che hanno un titolo di studio basso e del 3,2% tra i laureati. Questo divario aumenta con l’età: nel range 45-64 anni è del 23,2% tra le persone con la licenza elementare e dell’11,5% tra i laureati.

La speranza di vita nel mondo

In generale, l’aspettativa di vita nel mondo è aumentata di 5,5, anni. I dati che emergono dalle Statistiche di salute mondiale pubblicate dall'Organizzazione Mondiale della Salute (OMS) nel 2019[4] sono chiari. Si vive più a lungo, e con una migliore salute, ma al tempo stesso non si fanno più progressi per il sovrappeso infantile, l'incidenza della malaria, il consumo di alcol e di acqua potabile sicura. La forbice è aumentata da 66,5 a 72 anni, così come è cresciuta anche l'aspettativa di vita in salute, passando da 58,5 a 63,3 anni. Dei 43 indicatori analizzati nel rapporto dell'OMS, sono stati rilevati dei miglioramenti per oltre la metà (56%). Progressi sono stati registrati anche nel tasso di copertura vaccinale, mentre l'incidenza di malattie infettive, del fumo di tabacco, l'esposizione a fattori di rischio ambientale e la mortalità prematura da malattie non contagiose sono calati.

Continuano ad esserci però disparità tra Paesi ricchi e poveri. La speranza di vita alla nascita ad esempio è di 18,1 anni inferiore nei paesi a basso reddito, dove 1 donna su 41 muore per cause legate alla maternità, un terzo dei bambini ha un basso tasso di crescita, a causa delle carenze nutrizionali, e un bambino su 15 muore prima dei 5 anni. Ci sono però alcune eccezioni. Il maggior tasso di rifiuti, per esempio, si ha nei Paesi del Sud-est asiatico e del Mediterraneo orientale, quello di omicidi nel continente americano e quello di suicidi in Europa.

Calcolo aspettativa di vita individuale

Questi i dati generali, ma è possibile calcolare l’aspettativa di vita di una persona? La risposta è sì, è possibile cioè conoscere in media gli anni di vita previsti. Nel calcolo intervengono vari fattori come le condizioni di salute, l’istruzione e altri aspetti sociali di un Paese o di un territorio.

Addirittura, l’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU) definisce il calcolo dell’aspettativa di vita come uno dei principali indicatori per misurare lo sviluppo[5] umano.

Per le “tavole di mortalità” (come sono definite) possono essere utilizzati metodi diverse di valutazione. Queste tavole (dette anche tavole di vita) si basano, com’è ovvio, su dati reali: morti, nascite e popolazione, segmentati per sesso, età e territorio.

È consigliabile prendere in analisi periodi di 3 anni alla volta. La ragione risiede nella complessità dell’elaborazione di queste tavole e con essa del calcolo della speranza di vita, che è sensibile all’aumento o alla diminuzione delle morti.

Le operazioni matematiche per calcolare l’aspettativa di vita di una persona iniziano con il calcolo del numero totale di anni vissuti dalla generazione a partire da una certa età, che spesso coincide con la data di nascita. L’aspettativa di vita media si ottiene dividendo tra la popolazione iniziale il totale degli anni vissuti a partire da una certa età.

Se siete curiosi e volete calcolare la vostra aspettativa di vita andate a questo link

È vero che limitare il consumo di carne ci rende più longevi?

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La salute è un fenomeno complesso e, di conseguenza, l’argomento richiede risposte complesse.

Va da sé che nutrizione e buona salute sono strettamente correlati e l’alimentazione è uno dei fattori che incidono di più sullo sviluppo, sul rendimento e sulla produttività delle persone, sulla qualità della vita e sulle condizioni psico-fisiche con cui si affronta l’invecchiamento. Inoltre, una dieta corretta è un efficace strumento di prevenzione per molte patologie e di trattamento per molte altre. Secondo l’Atlante delle malattie cardiache e dell’ictus cerebrale, infatti, pubblicato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità[6] l’alimentazione non corretta e la sedentarietà sono tra i maggiori responsabili (precedute solo dall’abitudine al fumo) dei 17 milioni di morti per malattie circolatorie cardiache e cerebrali.

Detto questo, occorre sfatare tanti luoghi comuni. L’errore alimentare più diffuso consiste nello squilibrio tra assunzione di calorie e consumo dell’energia introdotta nella dieta, con un eccesso relativo della prima, che conduce all’accumulo di grasso.

Un forte contributo negativo è fornito dall’eccesso di grassi, in particolare da quelli di origine animale (cioè i grassi saturi e il colesterolo), che aumentano i livelli di lipidi pericolosi nel sangue (LDL) e riducono il cosiddetto colesterolo buono (HDL), favorendo così i processi di aterosclerosi. Gli alimenti più ricchi di acidi grassi saturi e colesterolo sono la carne e gli insaccati, i formaggi e gli oli da frittura.

Limitare il consumo di carne permetterebbe, dunque, di vivere più a lungo, come provano i regimi dietetici delle popolazioni che vivono nelle cosiddette “Blue Zones” (le cinque aree del pianeta in cui si concentrano le popolazioni più longeve studiate) e che accomunano gli ultracentenari di Okinawa in Giappone, di Loma Linda in California, di Ikaria in Grecia, della Penisola di Nycosia in Costarica e dell’Ogliastra, in Sardegna[7].

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Ecco, allora, in estrema sintesi, gli alimenti da assumere tutti i giorni, tutti presenti nel decalogo dei precetti che consentirebbero alle popolazioni suddette di campare cent’anni godendo anche della gioia del cibo:

  1. Il 95% di quello che mangi deve provenire da piante;
  2. Carne: non più di due volte a settimana;
  3. Consuma fino a 85 grammi di pesce al giorno (soprattutto sardine, acciughe e merluzzo, perché non sono esposti ad alti livelli di mercurio o altre sostanze chimiche);
  4. Riduci il consumo di latticini e formaggi;
  5. Fino a tre uova a settimana;
  6. Legumi cotti ogni giorno sono la chiave delle diete nelle “zone blu”;
  7. Riduci il consumo di zucchero;
  8. Come snack mangia due manciate di noci;
  9. Attieniti a cibi riconoscibili per ciò che sono. Nelle “zone blu” di tutto il mondo la gente mangia alimenti nella loro interezza: non butta via il rosso d’uovo o la polpa della frutta. Ricava tutto ciò di cui ha bisogno dagli alimenti “interi”, che spesso sono coltivati localmente.
  10. Bevi almeno 2 litri di acqua al giorno.

Quali sono i pericoli dell’essere vegano (se ci sono)?

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Se gli esperti suggeriscono di mangiare la quasi totalità di alimenti di origine vegetale, ciò non dovrebbe rappresentare un problema per i vegani. La dieta vegana, a differenza di quella vegetariana, non contempla l’assunzione di alimenti di provenienza animale, come latte e uova, nonché tutti gli alimenti derivati o che li contengano come ingredienti. Sono vegani anche i “crudisti”, che però restringono la loro dieta ai soli alimenti non cotti e i “fruttisti”, che la limitano ai soli frutti e semi.

Le motivazioni della scelta alimentare sono di vario tipo[8]: in alcuni casi si tratta di limitazioni connesse allo stato di salute, che impone l’adeguamento ad una dieta ferrea, ma nella maggior parte dei casi si tratta di una libera scelta, dettata dall’attenzione sempre crescente da un lato della sensibilità nei confronti degli animali e dell’ambiente, dall’altro dalle problematiche salutari connesse ad un’alimentazione a forte uso di carne.

Stando così le cose, quali sono (se ci sono) i rischi di una dieta vegana? Quello che nutrizionisti e medici spesso indicano come problematico in una dieta vegana è legato alle carenze di alcuni nutrienti che possono sussistere se si segue strettamente questo regime dietetico : possibile carenza di ferro e di calcio, di amminoacidi essenziali, di vitamina B12 in particolare[9].

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Va anche evidenziato che, secondo i dati dell’Istituto Superiore di Sanità[10], in Italia le malattie cardiovascolari, che sono fortemente associate al consumo di grassi e proteine animali, rappresentano la prima causa di morte, essendo responsabili del 44% di tutti i decessi.

Carenza di vitamina B12. Gran parte degli onnivori (di coloro cioè che mangiano un po’ di tutto) non riescono ad assorbire adeguatamente la vitamina dal cibo che consumano. Questo perché negli alimenti la vitamina è in forma coenzimatica, legata alle proteine. È proprio questo legame che molti non riescono a rompere e non riescono quindi a liberare la vitamina rendendola disponibile per l’assorbimento intestinale. Inoltre, la vitamina B12 presente nei cibi animali non è prodotta dall’animale, ma la riceve dal mangime addizionato con integratori di questa e di molte altre vitamine e minerali.

Carenza di omega-3. Si ritiene che chi non consumi pesce in quantità bilanciata, presenti un’assunzione limitata di acidi grassi polinsaturi omega-3; invece questo acido grasso essenziale può essere assunto anche con le noci, semi di lino, olio di lino, ed altri oli vegetali. Da considerare che con l’assunzione di pesce non controllato, si potrebbe incorrere in una assunzione contestuale di metalli pesanti e di sostanze inquinanti: secondo l’US Environmental Protection Agency[11] (EPA), ad esempio, il limite massimo che soddisfi il principio di precauzione per il salmone corrisponde a 1 porzione ogni 5 mesi.

Gli aminoacidi essenziali, cioè la quota di aminoacidi che non siamo in grado di sintetizzare ma che devono essere assunti con l’alimentazione, non sono presenti solo nella carne, ma si trovano anche nella soia, negli pseudocereali (grano saraceno, quinoa, semi di chia ecc.), in alcune verdure e frutti.

Per completare queste informazioni, vi invitiamo a consultare il documento in italiano a cura della Società Italiana di Nutrizione Umana (SINU) sulle diete vegetariane.[12]

Stile di vita e longevità

Come abbiamo evidenziato l’aspettativa di vita in molti Paesi del mondo si allunga, tuttavia, secondo uno studio pubblicato dalla rivista scientifica Circulation[13], non tutti ne traggono benefici, colpa di alcune cattive abitudini diffuse nel mondo occidentale.

Per guadagnare anni di vita basterebbe seguire alcune intuibili regole: non fumare, mantenere un indice di massa corporea tra 18,5 e 25, dedicare almeno 30 minuti al giorno all'attività fisica (anche moderata), non bere più di due bicchieri di vino al giorno[14], garantirsi una dieta ricca di frutta, verdura e cereali integrali e povera di carne rossa, grassi saturi e zucchero.

Secondo i ricercatori, chi segue queste semplici regole a 50 anni matura un bonus sull'aspettativa di vita di 14 anni in più se donna e di 12,2 anni se uomo. Lo studio ha monitorato i dati clinici di oltre 122.000 persone dal 1980 al 2014 dimostrando che uomini e donne che rispettano questi criteri hanno l'82% in meno di probabilità di morire di malattie cardiache e il 65% in meno di probabilità di morire di cancro.

Oltre ai dati scientifici e clinici, una buona aspettativa di vita è collegata soprattutto alla serenità d'animo, ai momenti di contatto con la natura, alla capacità di ridere di gusto, la gentilezza e l'amore.

Attività fisica

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A partire dai 30 anni, il cervello comincia a perdere ogni giorno un certo numero di neuroni a causa di un processo definito apoptosi,[15] una sorta di morte cellulare programmata.

Contrastare tale declino è possibile grazie all’esercizio fisico, che svolge un ruolo protettivo nei confronti del tessuto nervoso. L’attività fisica, infatti, permette il rilascio da parte dei muscoli di alcune sostanze neuroattive che stimolano la sintesi di BDNF (fattore neurotrofico cervello-derivato). Il BDNF contribuisce a sostenere la sopravvivenza dei neuroni già esistenti e favorisce la crescita e la differenziazione di nuovi neuroni e sinapsi.

Per cominciare, anche una semplice passeggiata può aiutare l’organismo a diminuire il rischio di malattie e patologie importanti e gravi. Il nordic walking è utile allo scopo. La camminata con i bastoncini, infatti, è una delle attività fisiche e sportive aerobiche più complete in assoluto.

Oppure la ginnastica dolce, che mantiene allenate le articolazioni e aiuta a conservare il senso e la capacità di equilibrio. L’attività fisica, se eseguita in maniera corretta e sistematica, è in grado di influenzare il benessere psicologico a tutte le età.

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Come rallentare l’invecchiamento

Sugli accorgimenti per rallentare l’invecchiamento, ci si può riferire alle ricerche condotte presso l'Harvard Chan School e il Brigham and Women's Hospital di Boston. Gli esiti dell'indagine sono stati pubblicati sul Jama Internal Medicine[16].

Gli studi sono stati eseguiti ad Harvard per 24 anni su 78.865 pazienti e per 28 anni su 44.354 soggetti. Per aumentare le possibilità di superare gli 80 anni di età, con la minima incidenza di malattie, sono stati valutate alcune regole da seguire:

  1. astinenza dal fumo di sigaretta;
  2. minimo 30 minuti di esercizio fisico moderato giornaliero;
  3. dieta bilanciata e di qualità, con pochi alimenti assunti giornalmente ma di grande varietà
  4. modesta assunzione di alcol;
  5. mantenimento di un BMI (indice di massa corporeo) normopeso (da 18.5 a 24.9 kg/m2).

Le evidenze sono che a partire dall’età di 50 anni, le donne che seguono tutti questi comportamenti, possono avere un’aspettativa di vita di altri 43 anni, ossia arrivare a 93 anni (un extra di 14 anni in confronto a quelle che non li adottano), mentre gli uomini possono vivere per altri 37.6 anni, ossia raggiungere gli 87.6 anni (un extra di 12.2 anni rispetto a coloro che non li accettano).

Equilibrio acido base

Ma la chiave di tutto è l’equilibrio acido-base. È fondamentale fornire al nostro corpo ciò di cui ha bisogno: acqua salubre, aria pulita, esercizio fisico moderato e sufficiente riposo. Tuttavia, il principale beneficio derivante dall’applicazione di queste regole è un corretto equilibrio acido-base. Le reazioni chimiche del corpo umano avvengono entro un intervallo di pH limitato (7.35 e 7.45) e il nostro sistema biologico tende a mantenerlo costante. Quando questo equilibrio viene compromesso, si creano le condizioni che favoriscono i fattori di rischio verso diverse situazioni patologiche.

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Il sociologo Umberto Galimberti in suo breve saggio sulla vecchiaia ricorda che

“chi non accetta la vecchiaia, (…) ipocondria, ossessività, ansia e depressione diventano le malefiche compagne di viaggio dei suoi giorni, mentre suoi feticci diventano la bilancia, la dieta, la palestra, la profumeria, lo specchio”.

La domanda allora è: è meglio una vita lunga o una vita sana? Forse ha ragione Benjamin Franklin, grande politico statunitense, ma più noto come inventore del parafulmine, quando dice:

“una lunga vita può non essere buona abbastanza, ma una buona vita è lunga abbastanza”.

 

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